entrobordo

Intrepid 50 Evolution: un altro maxi fuoribordo dagli USA

L’Intrepid 50 Evolution è uno yacht sportivo di lusso introdotto di recente da Intrepid Powerboats, che offre 50 piedi di lusso e prestazioni personalizzabili. Design “innovativo”: Nuovo hard-top e postazione di comando con vetri a tutta altezza su tre lati, tetto apribile e finestre laterali apribili. Tutto ciò che, per qualche lustro, era stato dimenticato solo perché apparteneva al passato della nautica fatta per navigare, oggi ritorna sotto un’aura di innovazione e di novità! Courtesy picture by YachtWorld Plancetta di poppa ampia: Una piattaforma da bagno che copre tutta la larghezza dello specchio di poppa, adatta questa barca sia ad impieghi crocieristici che alieutici (con qualche rimozione utile, come ad esempio le ampie divanerie predisposte in pozzetto, ndr). Interni lussuosi: Cabina arredata con raffinatezza e opzioni personalizzabili, con accomodations ipotizzabili per 4 persone, più dinette, e due servizi, ma per questo è bene attendere i rendering definitivi del cantiere costruttore. Clicca qui per maggiori informazioni in merito al layout di coperta e di sottocoperta: https://www.instagram.com/p/C4wSczhMi2i/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA== Potenza: Possibilità di equipaggiare quattro Mercury Verado V12 600, per un totale di 2.400 cavalli. Alla data di dicembre 2024, il 50 Evolution è nelle fasi finali di produzione, con aggiornamenti in corso d’opera sui canali social del cantiere statunitense. Il mercato non accenna a flettere, per quanto riguarda i grandi scafi fuoribordo; viceversa, quello dell’usato gonfia a dismisura i prezzi dei pochi fisherman entrobordo di media misura e recente produzione, evidenziando un interesse mai sopito verso le imbarcazioni in linea d’asse, e dunque una tendenza del mercato odierno ad “imporre” la via maestra. Ma evidentemente per molti diportisti la via maestra sembra non essere SOLO il fuoribordo. Questa schizofrenia mi auguro abbia vita breve, poiché è sintomo di disorientamento non solo di chi vende, ma anche di indecisione e poca convinzione di chi è…


Tenute per assi portaelica PSS

Accanto ai sistemi di tenuta tradizionali, la tecnologia ci ha messo a disposizione soluzioni molto più semplici, con minore manutenzione e di una certa economicità, anche quando arriva il momento della sostituzione. E’ il caso delle tenute per assi portaelica della PYI Inc., altrimenti conosciuti con l’acronimo PSS, che sta per prop shaft seals. L’azienda, con sede a Lynnwood, negli Stati Uniti d’America, è leader nel mercato delle componenti per l’industria marina ed industriale dal 1981, ha come punta di diamante della sua produzione le tenute per assi portaelica PSS. Perché questo prodotto ha avuto così tanti consensi nella nautica? Prima di tutto perché elimina le operazioni di routine che, con le vecchie tenute con premitreccia, diventavano la croce periodica degli armatori… anche se, v’è da dire, questa ed altre operazioni consentivano all’armatore stesso di “imparare a conoscere la propria barca” dal didentro… ma tralasciamo queste smancerie da romanticoni un po’ retrogradi, e vediamo perché i PSS hanno cambiato la vita di noi diportisti. Tutto consta nel principio di funzionamento delle PSS: la tenuta è assicurata da “boccole” (dette statori) che frizionano contro rotori in acciaio inox solidali all’asse, con l’aiuto della contropressione esercitata dall’esterno, dall’acqua di mare che, virtualmente, “refrigera e lubrifica” la tenuta stessa. Detta così suona un po’ stonato ammettere che l’acqua marina possa lubrificare in maniera sana un organo soggetto a rotazione e sfregamento, senza comportare alcun effetto collaterale. In effetti, questi effetti collaterali ci sono, ma sono calcolati e previsti: di fatto, lo statore (in una miscela composita di carbonio e resine che consentono di resistere fino alla temperatura di 260°C) e lo stesso rotore inox tendono ad usurarsi, creando gole profonde da centesimi a decimi di millimetro nel tempo, ma la perfetta planarità delle facce a contatto consente una autocompensazione dei giochi e, di…


No Picture

Line cutter per assi portaelica, cosa sono?

Un incubo immanente per tutti i diportisti di imbarcazioni con trasmissione in linea d’asse è l’imbrigliare l’elica a cime volanti, pezzi di rete abbandonati e in genere ad ogni relitto o rifiuto che possa avvolgersi attorno ad essa. Questo è un problema reale tanto più che il detrito flessibile si strozza attorno all’elica o, peggio ancora, quando riesce ad avvolgere in un groviglio inestricabile elica, asse e cavalletto. In questi casi, la soluzione obbligata è immergersi, e farlo nella stagione fredda comporta di essere già equipaggiati (e pratici) di muta, guanti e maschera. Talvolta, persino un ottimo coltello non basta a ridurre la sosta della barca, magari in condizioni di mare in peggioramento. A me, personalmente, è capitato di prendere in un’elica, durante la navigazione, addirittura una tanica rotta in plastica, appena sommersa, invisibile con il mare mosso, che si era praticamente aggrovigliata in un pugno di plastica fuso attorno al cavalletto e all’elica, costringendomi al raddrizzamento e riequilibratura delle pale. Per fortuna a me capitò d’estate, sebbene con il mare mosso, non fu una esperienza rilassante sostare sotto la chiglia con l’incombente pericolo di calcolare male il rollio e prendere craniate. Una soluzione per questo genere di inconvenienti viene dalla ditta Spurs, dedita alla produzione di “line cutters”, che consistono in lame a collare che vengono installate a monte dell’elica, tra questa ed il cavalletto. Una lama a tagliente singolo resta fermo attaccato al cavalletto, mentre il disco multitagliente rotea assieme all’elica, tagliando qualsiasi cosa, o quasi, vi si aggiri nei pressi. CLICCA QUI Questo sistema è virtualmente esente sa manutenzione, fuorché sostituire un anodo sacrificale appositamente previsto dal produttore per non indurre disturbi galvanici al resto delle componenti metalliche della barca già collegate a rispettivi anodi. Vi sono modelli differenti di line cutter, in base alla sezione dell’asse…


Fisherman americani: i grandi soffrono, i piccoli decollano

Hatteras Yachts, reduce da un periodo in cui ha rasentato la bancarotta solo due anni fa, è stata ceduta poco meno di due settimane or sono dalla proprietaria Brunswick Marine alla cifra di 34 milioni di dollari al gruppo Bass Pro Shops. In realtà i 25 milioni citati non sono stati corrisposti come somma d’acquisto del marchio, ma come “impegno” d’investirli in organico e in ammodernamento delle strutture produttive. Al contrario, cantieri impegnati nella costruzione di fisherman di piccole e medie dimensioni, crescono e raddoppiano, come Boston Whaler che ha visto riconvertita una sede originariamente di Sea Ray, sulla Palm Coast, per la produzione dei suoi modelli, la cui richiesta è cresciuta del 40% rispetto allo scorso anno. Non solo: è di pochi giorni fa la notizia che Brunswick stia per riaprire lo stabilimento di Flager County, con una assunzione di 440 unità di organico, per cercare di accorciare i tempi di consegna che, al momento, vedono le linee produttive impegnate fino a tutto il 2022. Come Hatteras, altri marchi sono addirittura spariti dalle scene negli ultimi anni (da Ocean a Post, Cavileer, Cabo e molti altri marchi di fisherman meno noti in Europa) ed alcuni parimenti soffrono, come Viking, che ha visto addirittura rischiare di dover eliminare dalla gamma di modelli il 92Ced il 93MY, a causa delle stringenti normative antinquinamento sui motori nautici a gasolio. tant’è che proprio Viking si è “attrezzata” con Valhalla, un marchio che tratta esclusivamente center console fuoribordo, tipologia di fisherman che oggi va per la maggiore. Forse, osservando i listini, si può desumere parte della sofferenza dei costruttori di grandi sportfisherman in scala industriale. I prezzi dei convertibles dai 60 piedi in su di Hatteras e Viking sono molto meno ridotti, rispetto al passato, di quelli di barche di produzione semicustom di pari…


Il progresso, secondo l’industria dei motori marini.

Ritorno ancora una volta sul tema della ecocompatibilità dei motori marini, per farvi soffermare sulla seguente immagine, che ritrae un propulsore turbodiesel di ultima generazione (in foto un Volvo Penta, ma il layout è similare per ogni altro costruttore di motori marini) così come fornito, per rispettare le vigenti normative IMO Tier III sulle emissioni di particolato e NOx. Il grosso “boiler” in acciaio inox è un filtro SCR (Selective Catalytic Reduction) che serve, appunto, a ridurre le emissioni di PM10 e PM2.5 ed ossidi di azoto. Il fatto è che una coppia di propulsori di ultima generazione ingombrano quasi come 4 motori, con pesi molto maggiori rispetto ad un tempo e spazi necessari nello scafo di una certa rilevanza, che andrà a sottrarre volumi al sottocoperta, quando non alle riserve di liquidi o alla semplice agibilità ed accessibilità di motori stessi ed impianti. A ciò, aggiungerei i costi di smaltimento dei moduli SCR, che chiaramente hanno una loro vita utile e che, dopo un certo numero di ore di moto, necessiteranno di sostituzione (i filtri SCR, a differenza dei DPF, non sono ripulibili pneumaticamente). Se, infine, consideriamo che un filtro SCR contiene una moltitudine di materiali nobili come molibdeno, vanadio, tungsteno e zeolite, la cui presenza è essenziale per innescare i processi di catalisi, possiamo ben immaginare l’incremento di costi di sostituzione di questi filtri, che potrebbe rendere antieconomico il ripristino, a meno di esborsi che rendono dubbiosa la scelta di una barca usata piuttosto che una barca nuova, magari di qualche piede più corta. Insomma, la via ecologica si presenta sempre più complessa, con molti rovesci di una medaglia a più facce. A presto e Buon Mare, Benedetto Rutigliano Autore di Fisherman Americani (anche eBook) Autore di “Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per…


Andy Mortensen 52: un pezzo di storia

Vi sono cantieri nati da un’idea, e ve ne sono altri nati per fini di mero profitto; vi sono artigiani che costruiscono i propri manufatti fondendo l’esperienza con quell’idea, quelli che, prima di osservare soddisfatti il risultato delle proprie fatiche, passano con una mano ruvida la superficie lignea; poi vi sono costruttori che… costruiscono e basta. La differenza tra chi quell’idea non la reprime mai a vantaggio del mero profitto, e chi costruisce barche esclusivamente per lucro, è che le barche nate dalle mani dei primi sono destinate a solcare i mari per molto, molto più tempo di quelle nate con preminenza alle economie di scala ed al margine operativo, perché quelle si “guadagnano” le cure dei loro proprietari, anche quando esigono esborsi in tempo e denaro molto importanti, le seconde vengono trattate al pari di come sono state costruite: se ripararle costa troppo rispetto al loro valore residuo, le si rottama. Ma quando una barca ha anche un’anima, il suo valore intrinseco tende ad essere indefinibile e fuori da ogni logica di contrattazione mercantile. E’ il caso delle creature di Rybovich e di coloro che hanno dato vita a quella filosofia di concepire e costruire fisherman di lusso. Andy Mortensen fu maestro artigiano per Rybovich dal 1950 al 1970, per cui il curriculum dovrebbe porre solide basi alla valutazione della barca che questo articolo presenta. Mortensen decise proprio nei primi anni Settanta di mettersi in proprio, producendo venti barche fino al 1983, data ultima di cui si registri la costruzione di uno sportfisherman marchiato “Andy Mortensen” . Miss Liz è un 52 piedi Convertible costruito in cold molded, ed ha subìto un sostanzioso refitting, che ha coinvolto anche gli interni. La barca ha avuto, dal 1977 ad oggi, solo tre proprietari, a suffragio della estrema affidabilità e validità del…


La potenza è nulla senza coppia: entrobordo Vs fuoribordo

Torniamo a parlare di numeri, di efficienza, di performance. Quando provai per la prima volta il mio Topaz 32 Express appena consegnatomi, restai stupito dalla velocità e dal regime di entrata in planata (11,3 nodi a 1600rpm) e di velocità minima planata in riduzione di regime dei motori (9,9 nodi a 1450rpm). Questo significava poter affrontare virtualmente qualsiasi condizione di mare tenendo i motori sempre in coppia e lo scafo in assetto con una minima correzione di flaps. Ma il Madeira II era motorizzato entrobordo, poteva contare su due turbodiesel di 7.3L di cilindrata, che erogavano 456cv ciascuno e, soprattutto, esprimevano una coppia motrice di 130 kgm a 1440 rpm. Questi propulsori facevano evolvere due eliche di 22″ x 29″ ciascuna. Come si vede, non c’è da stupirsi se i moderni fisherman di quaranta piedi ed oltre, pur equipaggiati con cavalleria sovrabbondante, fatichino a tenere regimi minimi di planata “funzionali” ad un utilizzo confortevole anche con mare formato. Un moderno fuoribordo benzina V8 di 450 cv esprime una coppia motrice di 61 kgm tra i 3500 rpm ed i 4500 rpm. Pur installando tre, quattro motori, le caratteristiche di erogazione di potenza e coppia non consentiranno mai allo scafo di mantenere una velocità minima di planata inferiore ai 15-17 nodi. Molto spesso questa andatura è impossibile da tenere, a meno di non accettare di battere sull’onda e di arrecare stress allo scafo; non resta quindi che dar manetta, per avere un assetto corretto, pur con il rischio di cavitazione delle -piccole- eliche, di urtare tra un picco d’onda e l’altro, oppure… darsi al dislocamento ed avere molta pazienza per rientrare. Ecco perché, al di là delle indubbie ragioni che al mercato vogliamo dare ed al sicuro appeal di un fisherman che mostra orgoglioso la sua cavalleria in serie sullo specchio…


Bimini Marine 245 SX: il mini-express che non ti aspetti

Bimini Marine, piccolo cantiere costruttore del New Jersey, ha avuto l’audacia ed il merito di scommettere su un modello di barca ormai antieconomico ma estremamente rispettoso dei dettami dello sport fisherman. Il Bimini 245 SX è un concentrato di marinità, flessibilità, affidabilità ed autonomia. Vediamo perché: E’ spinto da due motori entrobordo in linea d’asse; Ha una larghezza massima di m. 2,45, che la fa rientrare nella piena carrellabilità; Ha una riserva di carburante di 530 litri, che le garantisce un’autonomia di quasi 500 miglia (*con motori diesel; **90% della capienza totale) Costruzione solida in laminato pieno di vetroresina; Ricovero sottocoperta; Zona guida ben riparata. Quanto alle motorizzazioni, la proposta di Bimini Marine rispecchiava quella di Topaz Yachts quando quest’ultima produceva l’originale 24 Express. Si spaziava dalle motorizzazioni a gasolio (2×110 Volvo Penta o 2×125 Yanmar), a quelle a benzina (2×145 Volvo Penta o 2×150 Mercruiser). Con qualsiasi delle opzioni propulsive scelte, comunque, l’autonomia a velocità di crociera non è mai inferiore alle 360 miglia nautiche (calcolata sul 90% della capienza totale), un traguardo che ben poche barche da pesca odierne del medesimo segmento raggiungono, sebbene queste abbiano a disposizione motorizzazioni moderne e, in linea teorica, più efficienti e parche nei consumi. Per quanto riguarda dimensioni e pesi, siamo di fronte ad uno scafo lungo 7,40 m e largo 2,45 m, il che lo rende facilmente trasportabile su carrello opportunamente dimensionato per sorreggere un dislocamento che, in ordine di marcia, supera le tre tonnellate. Il pozzetto è ampio e protettivo, avendo una superficie calpestabile di m 2,10 x 2,00 ed una falchetta dall’altezza media di 65 cm Non esiste, sul mercato americano, un altro express fisherman entro i venticinque piedi con due motori entrobordo in linea d’asse, per cui il Bimini Marine 245 SX fa categoria a sé stante. La…


Diesel, benzina o… GNL!

La corsa alle soluzioni più ecologiche per l’umana mobilità -sia per terra che per mare- sta contaminando positivamente anche l’ambito nautico. Gli studi in merito ad una alimentazione alternativa ai combustibili fossili più diffusi (benzina e gasolio) dei grandi mercantili e delle navi sono ad uno stadio più che avanzato, tant’è che Isla Bella, la prima nave alimentata a Gas Naturale Liquefatto  è stata varata a settembre 2015. A ruota, si sono succedute altre riconversioni di progetti navali sia da carico che da trasporto di persone e da crociera, che dapprima erano nati con propulsione tradizionale. Oggi anche Costa Crociere ha nella sua flotta la Costa Smeralda, la prima nave da crociera alimentata a GNL. Dal settore navale bisogna migrare a quello agricolo per ritrovare l’alimentazione a GNL su motori a combustione interna di potenza più adatta al diporto privato. Infatti è F.P.T. che ha varato i progetti e conseguentemente la produzione dei Cursor 13 NG, alimentati a gas naturale liquefatto, per mezzi agricoli ed industriali. Il motore in questione è un 13 litri di cilindrata ed offre una potenza di 460cv e, soprattutto, una coppia motrice di 2.000 Nm. I medesimi numeri offrono i corrispettivi di Scania (OC13 101) e Volvo (il G13 460). I vantaggi di questi propulsori, rispetto ai corrispondenti a gasolio, sono: Emissioni inquinanti ridottissime, soprattutto per quanto riguarda i livelli di zolfo, particolato (-98%) e NOx (-48%); Maggiore silenziosità Consumi inferiori del 15% Stando, poi, alle vigenti normative varate dalla International Maritime Organization -le IMO Tier III- che costringeranno i motori a gasolio a veder installati gruppi filtranti selettivi ad urea per poter osservare gli stringenti requisiti in termini di emissioni di PM10, i motori alimentati a GNL ne trarranno immediato vantaggio poiché non necessitano del filtro ad AdBlue. Su questo argomento vedi il seguente post…


Barche da pesca e volumi sottocoperta: la metamorfosi

Un tempo la cabina non era un privilegio per pochi eletti. C’erano i cuddy cabin, i walkaround, i cuddy console, tutte tipologie di fisherman che partivano sin dai venti piedi di lunghezza di scafo, ed in alcuni casi addirittura meno. La cabina su queste barche non era di certo concepita come un’area da vivere trascorrendovi lunghe crociere, ma per lo più come vano di stivaggio di attrezzature da pesca, che altrimenti sarebbero state destinate alla spola casa-barca-casa ogni qual volta si desiderasse uscire in barca. Il più delle volte questi piccoli volumi ricavati sotto la pontatura prodiera ospitavano una cuccetta a V con una toilette a scomparsa.  Insomma, lo stretto necessario per un rifugio dal maltempo, un cambio di vestiti o per una urgenza fisiologica. L’avvento dei moderni center console, che hanno subìto cure steroidee quanto a dimensioni, hanno consentito di ricavare un piccolo vano in console ad uso toilette, ma la loro inarrestabile ascesa ha eroso pesantemente lo spazio che prima era destinato ai walkaround nelle linee produttive dei cantieri nautici. Le ragioni? Proviamo ad enumerarne alcune: Propensione della clientela a scegliere barche che, a parità di dimensioni di scafo, offrano ampia superficie calpestabile su un unico livello; Maggiore indipendenza “percepita”, che consente di pensare di poter uscire all’occorrenza, anche in solitaria, con meno problemi di gestione delle fasi di ancoraggio ed ormeggio; Maggior contatto con l’azione di pesca e le attrezzature rispetto ad una barca con zona guida isolata o comunque “avvolta” in un parabrezza (vd walkaround). L’elenco potrebbe continuare ma dovrei forzare un po’ la mano, perché per la verità quello del center console è il tipico caso in cui il mercato veicola le scelte e non viceversa. In soldoni, questo passa il convento, ed esagero volutamente con questa espressione perché personalmente amo il walkaround e noto…