Osservare come intravvedere uno scopo
Chiamarlo articolo è un po’ ardito, per questo mi limito a definire questo testo come riflessione. Vorrei scrivere una nota sulle linee architettoniche delle imbarcazioni da diporto attuali, perché dalla loro osservazione ne esco sempre un po’ sbigottito. Vorrei soffermarmi sull’atto dell’osservazione: il verbo “osservo”, in greco è tradotto in “skopèō“, che ricorda il nostro termine “scopo”, cioè fine, obiettivo. Non ho una preparazione classica, ma ad un occhio quasi profano come il mio, appare che gli antichi greci associassero all’osservazione la ricerca di un fine di ciò che si palesava ai loro occhi. OSSERVARE, CIOE’ TROVARE UN FINE, UN SENSO A CIO’ CHE OSSERVO. Sarebbe come sostenere che ciò che l’occhio vede, dovrebbe trasparire una sensatezza. Se osservo una penna, questa è bella o brutta, a seconda che essa abbia o non abbia determinate caratteristiche che la rendano facile e piacevole da tenere in mano, usarla, bella nell’osservarla sulla scrivania accanto a un block notes pulito o a una agenda, o addirittura appagante nel tenerla nel taschino della giacca e nello sfilarla alla bisogna. Allo stesso modo, una barca attrae lo sguardo quando nelle sue linee se ne intravede lo scopo o il senso: una linea di coperta che digradi dolcemente da prua a poppa (o che, per lo meno, non si incunei prua nell’onda…), oblò e finestrature poste lontano dalla fascia di bagnasciuga, rivestimenti robusti ed estesi quanto e dove servono, materiali durevoli, ben rifiniti e sicuri durante l’utilizzo della barca, ferramente di coperta disposte strategicamente e mai pericolose per l’incolumità di chi è a bordo, ruote di prua, dritto di prua, masconi ben disegnati e “marini”, eccetera. Tutto quanto l’occhio osserva poi viene da questo elaborato e dalla mente valutato come una “cosa” bella da osservare o meno. Sarebbe qui interessante discutere di quanti occhi siamo dotati….
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