Nautica moderna: siamo nel pieno di una crisi di senso?

Questo breve articolo nasce dai riscontri che una frase pubblicata sui social pochi giorni fa ha ricevuto. La frase in questione è la seguente:

Era un mio pensiero, tra il serio e il faceto, ma evidentemente c’è molto di cui parlare con riguardo alla deriva filosofica della nautica moderna. Può sembrare una disquisizione astratta, tuttavia non si può non scomodare la filosofia, perché il senso di ogni nostra azione, di ogni nostro concepimento intellettuale, in poche parole, di ogni idea, è da ricercarsi nel logos, il pensiero come discorso interiore secondo ragione. In effetti, il termine concilia in sé, oltre che quello di “discorso interiore”, anche quello di “calcolo” (ratio). Ma se la ragione viene meno, allora anche ogni barlume di senso svanisce, e restano i nudi calcoli. In sostanza, un’idea, che “viene” dal logos, cioè dal dialogo interiore razionale, spogliata del discorso sul senso, cioè dalla ragione, diventa pura tecnica numerale.

Oggi le architetture nautiche, sia quelle sotto la linea di galleggiamento, sia quelle sopra la stessa, sposano a mio modesto parere uno scentismo che idolatra il calcolo e la “performance”, intesa come puri numeri:

  1. Velocità massima, talvolta raggiungibile in condizioni meteomarine e di esercizio non realistiche;
  2. Potenza installata
  3. Volumi di vendita.

Se separiamo la prima dalla tenuta di mare sul mosso, dal comfort, dalle qualità marine, dall’ergonomia dei vari componenti, dalla razionalità dello sfruttamento dei volumi di bordo e da altri elementi che “fanno la barca”, questo numero è utile solo come mero argomento di marketing avente come scopo il secondo punto: vendere. Il mercato segue le logiche del denaro, che tende ad un continuo incremento di sé stesso. Da ciò si capisce che, per produrre oggetti come le barche, non possiamo emulare le logiche del denaro, che nasce e dovrebbe restare un mezzo per raggiungere uno scopo, e non divenire esso stesso lo scopo: questo cortocircuito, già affrontato da esimi filosofi moderni (tra i quali mi viene in mente Heidegger col suo ), è il seme della perdita di senso, nella quale prolifera il calcolo finalizzato all’autoaccrescimento. Il senso “suggerisce” l’idea, l’apertura a ricevere lo spirito creativo, ciò che oggi è stato sostituito dalle macchine (algoritmi, intelligenza artificiale…)

La naturalezza delle linee, la funzionalità architettonica dei masconi (ormai pressoché estinti a favore di una sorta di sponde diritte), l’andamento della linea di coperta, la sensatezza delle aperture e delle paratie dello specchio di poppa, la protezione della zona di governo e l’esistenza di un’area sgombra, come l’antico “pozzetto”, sono tutti elementi che concorrono a fare di una barca un mezzo bello e funzionale. Se oggi i gusti degli utenti si sono spostati verso un’idea di stile meno percepibile come “apprezzabile”, – a voler essere gentili – forse è colpa di un mercato dispotico, che impone le scelte e non le recepisce e le elabora chiedendo riscontro alla stessa utenza, come il mercato faceva fino a prima di questa ondata tecno-capitalistica infarcita di politically green e di fluidità generale sfociate nel vuoto di senso.

Navigare per molti è uno svago, un passatempo, una passione; per tutti, però, richiede sensatezza, e sensati debbono necessariamente essere i mezzi con cui farlo. E quel senso non può essere mutuato dal mercato, che segue logiche del tutto estranee a quelle con cui un oggetto bello e funzionale alla sua finalità dovrebbe essere realizzato.

Buon mare,

Benedetto Rutigliano
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Autore di Fisherman Americani 
Autore di Barche da pesca di ieri e di oggi
Autore di “Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)”
Autore di “La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBook
Scrittore per la rivista Pesca in Mare
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