Barche americane

Come far durare un fisherman nel tempo

Per mare gioie e dolori, navigazioni di piacere ed avarie sono connubi inscindibili ai quali, se il tempo e la passione non ci rendono resistenti e resilienti, reagiremo VENDENDO LA BARCA, in preda ad un senso di frustrazione e di fallimento. Se poi per mare pretendiamo di andarci anche quando le condimeteo non sono ottimali (e cioè molto spesso, se amiamo praticare talune discipline di pesca sportiva…), sarà bene che ci facciamo il callo quanto prima possibile, al fine di non mollare barca, canne e mulinelli a favore di più tranquilli (ed economici) hobbies. L’attuale tendenza ad infarcire le nostre barche di ogni sorta di comodità va contro la qualità del nostro prezioso tempo libero. In tal senso, l’unica soluzione per evitare quanto più possibile noie è avere a bordo impianti ben costruiti ed accessori costruiti con materiali di qualità elevatissima. La difficoltà oggettiva, per il costruttore, di mantenere elevatissima la qualità di ogni singolo elemento che compone le proprie barche, è nel mantenere il prezzo al pubblico della stessa entro livelli “umani”, che non la pongano decisamente fuori mercato. E siccome non possono essere tutti costruttori one-off o artigianali… dovrà pur esserci qualcuno di essi che costruisca barche accessibili ad una fascia ampia di diportisti. Ecco che viene in soccorso la virtù dell’ ESSENZIALITÀ: il saper scegliere ciò che davvero a bordo è utile da ciò che è superfluo. DOVREMMO, in poche parole, ESSERE IN GRADO DI RINUNCIARE AL FUTILE, ALMENO A BORDO! Se sapessimo dire al venditore della nostra prossima barca nuova “grazie, ma la ordino senza questo o quest’altro”, probabilmente avremmo un mezzo: – più affidabile; – più facile da mantenere; – suscettibile di molti meno grattacapi; – che non presti il fianco al futuro acquirente di potersi appigliare a piccole riparazioni da effettuarsi, perché la semplicità…


Barche usate: le parti esterne più soggette ad usura

Il mare non teme neppure la migliore delle realizzazioni nautiche, lo sappiamo. Il sole, il vento, gli sbalzi termici ed il salino lavorano senza sosta su ogni elemento esposto delle nostre barche, affinché le prime “rughe” comincino a manifestarsi già dopo qualche mese di sosta al pontile, persino su quelle nuove. (da un paragrafo de “Le 11 Buone Ragioni per NON Comprare una Barca”) INTERVENTI DEL TIPO CHE ELENCHERÒ QUI DI SEGUITO SONO GENERALMENTE DA RITENERSI INDICE DI RIGORE E CURA DEL VENDITORE, MA A VOLTE QUESTI SONO MERI ESPEDIENTI DI “TRUCCO E PARRUCCO” CHE NASCONDONO BEN ALTRO! Mi soffermerò su dettagli che più facilmente possono tradire l’età di una barca, poiché questi sono anche i dettagli in base ai quali si comprende la cura che il proprietario ha prestato nella manutenzione della propria barca, ma anche quelli su cui spesso taluni venditori “furbetti” intervengono per far trapelare una generale meticolosità manutentiva della stessa, magari sperando che l’interessato non approfondisca ulteriormente l’indagine pre-acquisto con il rischio che scopra beghe ben più perniciose. Tali parti di facile usura e di altrettanto facile intervento sono: • Plexiglass o policarbonato di parabrezza e palpebre in plancia; • Portabicchieri, altoparlanti ed altri accessori plastici esterni; • Linea di galleggiamento. • Lucidatura gelcoat. Basta intervenire su questi punti per dare un aspetto totalmente differente alla barca. È facile imbellettare una barca dalla salute precaria per renderla appetibile e distrarre l’attenzione dell’acquirente da problemi per più importanti e questi sono dettagli che, con poca spesa, possono essere ripristinati per riuscire nell’intento. Altri dettagli di intervento meno economico di quelli sopracitati, ma sui quali alcuni venditori particolarmente motivati a disfarsi di una barca problematica intervengono sono: • Ombrinali di scarico; • Guarnizioni profilo parabrezza e verniciatura a polvere, ove presente, delle ferramente di coperta; • Bottazzo; •…


Pesca d’altura e competizioni: quando l’affiatamento non basta!

Dopo questo articolo vincerete ogni singola gara di pesca. (Questa sarebbe un’ottima frase click-bait , ma non ho il coraggio di farlo, ancora no!) Vado a ripescare un po’ del mio passato per buttare sulla tastiera qualche considerazione in merito ad un argomento molto dibattuto nei circoli nautici, soprattutto quelli popolati da pescasportivi accaniti. La questione che qui sollevo è in merito al rapporto barca-equipaggio. Le sorti di una competizione di pesca sportiva sono figlie di diversi fattori: Affiatamento tra i membri dell’equipaggio; Esperienza di pesca e di gestione del combattimento, dallo strike fino all’imbarco o tag&release; Conoscenza del comportamento della barca da parte dello skipper. In questa sede mi soffermerò sull’ultimo punto: il feeling tra skipper e barca. Quando si decide di partecipare ad una gara fuori porta è necessario noleggiare una barca per l’occasione e non sempre è possibile rispettare le nostre preferenze, vuoi perché la disponibilità di imbarcazioni messe a disposizione via via si riduce, vuoi perché spesso il porto dal quale parte la “carovana” non offre barche con cui si ha dimestichezza. Accade, quindi, di ritrovarsi al timone di una pilotina un po’ ballerina, poco manovrabile macchine indietro, con poca visibilità sul pozzetto e sulle lenze, e chi più ne ha più ne metta! Spesso si tende quindi ad incolpare il mezzo, lo skipper o l’angler di un risultato al di sotto delle aspettative. Il più delle volte, però, chi si sorbisce le paternali più ruvide è proprio lo skipper che, magari, si è pure spontaneamente offerto di sacrificarsi per far pescare un altro membro dell’equipaggio! Un colpo di manetta un po’ troppo generoso che fa “stuccare” la lenza già tesa, oppure troppo poco gas, all’ordine del mate, non riesce ad annullare il bando di lenza causando la slamatura del pesce; un incrocio sfavorevole e fortuito di vento…


La tua barca ideale: TEST ONLINE

Ho preparato un test molto semplice con il quale spero di potere aiutarti a comprendere quali tipologie di imbarcazione siano più idonee al Tuo impiego, in base ad una serie di fattori ai quali le poche domande fanno riferimento. Ecco il test: Caricamento… Non appena avrai completato il questionario, mi perverranno le Tue risposte e ti darò riscontro a mezzo email con un parere preliminare GRATUITO. Ti ricordo di leggere i miei libri, che trovi in firma con i rispettivi link, per avere una idea completa e consapevole del variegato mondo delle barche da pesca sportiva e poter, così, scegliere una barca idonea alle Tue esigenze ed aspettative, rispettosa del Tuo tempo libero e del Tuo danaro. Ti auguro buon mare, come sempre. Benedetto RutiglianoPerito Nautico, iscrizione n.1502 al Ruolo dei Periti ed Esperti Nautici della CCIAA di BariAutore di Fisherman Americani Autore di Barche da pesca di ieri e di oggiAutore di “Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)”Autore di “La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBookScrittore per la rivista Pesca in MareFISHERMANAMERICANI Podcast


Quando una barca (planante) può dirsi SOTTOMOTORIZZATA?

Spesso, nel comune pensare dei diportisti, un grande motore intimorisce, perché automaticamente riconduce a consumi abnormi di carburante e costi di manutenzione esosi. Diretta conseguenza di questa errata convinzione è equipaggiare la propria barca con potenze insufficienti. Motorizzare male un fisherman comporta molti problemi. In primis, problemi di ordine economico: dopo aver provato cosa significhi sottomotorizzare una barca, sarete portati a voler sostituire il motore, con doppio danno per le vostre tasche. In più, si aggiungerà la frustrazione e l’imbarazzo di non riuscire ad entrare in planata in tempi decenti con un po di peso in più a bordo, se non consumando secchiate di benzina. Ma come stabilire con assoluta certezza che la nostra barca è sottomotorizzata? Ci sono vari fattori che concorrono a tale conclusione: 1️⃣ Il comportamento della barca con il mare formato; 2️⃣ La sensibilità delle prestazioni alla variazione di carico a bordo; 3️⃣ La difficoltà nell’individuare un assetto ottimale; 4️⃣ Lo spostamento del punto di efficienza (consumo litri/miglio) a regimi troppo elevati.   Una volta appurato che l’elica installata sia quella idonea, tutti i fattori di cui sopra determinano la bontà (o meno) dell’accoppiamento scafo/motori. Nel momento in cui si comincerà a far prove su prove con le eliche, beh… quella è già una avvisaglia. ❌ Non è affatto semplice determinare la bontà di una motorizzazione su una barca da pesca, per tale motivo ti invito a leggere il libro FISHERMAN AMERICANI Buon Mare! Dr. Benedetto Rutigliano Autore di Fisherman Americani Autore di“Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)” Autore di“La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBook Scrittore per la rivista Pesca in Mare FISHERMANAMERICANI Podcast (anche su Spotify ed iTunes)  


Corrosione galvanica: il tarlo invisibile che mangia la tua barca dal di dentro

La barca è sempre immersa in una trappola elettrica: IL MARE L’acqua salata è un conduttore di corrente elettrica, in cui ogni metallo concorre passivamente alla circolazione di questa energia. La differente “nobiltà” dei metalli espone quelli più in basso nella scala galvanica ad una pericolosa corrosione che può, in breve tempo, mangiare un piede poppiero, un’elica, cablaggi, piastre, supporti ed ogni altro elemento che compone la ferramenta di bordo. Quando acquisti una barca usata è importantissimo capire quali accessori siano stati installati dai proprietari e, soprattutto, COME SONO STATI INSTALLATI. Il pericolo di acquistare una barca con ferramente ridotte a gruviera è concreto e più diffuso di quanto sembri. Per ovviare a questo spesso subdolo problema, i costruttori dotano le proprie barche di ANODI SACRIFICALI. Si tratta di pezzi di metallo applicati strategicamente in vari punti di scafo e motori, per proteggere le parti metalliche dall’aggressione di tale fenomeno elettro-chimico. Tali elementi sono fatti generalmente di zinco, magnesio o leghe di alluminio poco nobili. La durata di un anodo sacrificale dev’essere né troppo breve, né troppo lunga. Un anodo che necessita di sostituzione dopo un paio di settimane indica un carico di “lavoro” eccessivo e pertanto sarà il caso di: Analizzare l’impianto elettrico per eventuali dispersioni che scarichino a massa; Provvedere ad un surdimensionamento di tale anodo, se sono state installate apparecchiature od accessori non di serie sulla barca: in tal caso l’impianto di protezione galvanica di serie potrebbe non essere sufficiente! Ciononostante, tale evenienza potrebbe essere imputabile a fattori esterni, non dipendenti dalla propria barca. La presenza di catenarie abbandonate sul fondale del proprio porto di stazionamento, ad esempio, aumenta di molto l’attività galvanica e dunque l’usura di nostri zinchi. Viceversa, quando gli anodi si consumano troppo lentamente o non si usurano affatto, c’è da preoccuparsi seriamente poiché…


Tiara Yachts e nuovi modelli: quale rotta ha preso?

Un tempo c’era Tiara Yachts, costruttore di imbarcazioni express e convertible con vocazione alieutico/crocieristica, rigorosamente entrobordo (con rare eccezioni efb per la serie Sport), con linee tese e sempre attuali anche a distanza di anni. Poi c’era la divisione più prettamente fisherman della Pursuit Boats, facente parte dell’unico gruppo S2 Yachts, proprietario di entrambi i marchi. Questa era dedita a center console, cuddy cabin e walkaround variamente motorizzati, più specificamente caratterizzati per l’uso in pesca sportiva. Insomma, in S2 avevano le idee chiare: chi voleva una barca comoda per crociere in famiglia, autonomia e praticava la pesca, sceglieva Tiara; per chi, invece, voleva una barca da pesca senza compromessi c’era Pursuit. Oggi Tiara si cimenta in campi per questo marchio nuovi e cerca di accontentare un po’ tutti, unendo in un mix di caratteristiche tipiche del day-cruiser, motorizzazioni fuoribordo di grande potenza tipiche dei fisherman di medie dimensioni. E’ pur vero che la serie Sport di Tiara, nata più di trent’anni or sono e sospesa dal mercato per quasi venti fino ad oggi, aveva una inclinazione più diportistica, ma mai si era vista una tripla motorizzazione fuoribordo su un Tiara di 40 piedi (per questo c’è già il Pursuit S408, allestibile con appositi pacchetti cruising). E non si era mai nemmeno visto un pozzetto ingombrato completamente da una lounge a U. Esprimo perplessità a tal riguardo, poiché a mio parere così si rischia di edulcorare il carattere di un marchio che ha impiegato decenni per diventare un indiscusso riferimento della cantieristica statunitense. Più che altro i miei dubbi, assolutamente opinabili, ineriscono il messaggio che credo giunga al cliente, a mio modo di vedere non molto chiaro. I miei auspici sono che Tiara continui a costruire barche per le quali ogni diportista ricorda il suo marchio, dalle linee sobrie e pulite,…


C’era una volta l’assetto – Lettera di un nostalgico…

D’accordo, non posso dire di essere della “vecchia guardia” data la mia età, ma io sono cresciuto sognando barche da pesca della tradizione americana. Barche le cui glorie si tessevano sulla base di equilibrio progettuale ed idrodinamico, studi sui baricentri fatti “a monte”, prima di lanciarne la produzione. Sono cresciuto conoscendo i difetti veniali di barche che rollavano troppo ma fendevano l’acqua come burro e non sono mai stato a vedere barche che non oscillano con il mare al traverso grazie ad un giroscopio, o assetti sempre perfetti grazie a flaps automatici (CLICCA QUI). È vero, sarei un troglodita anti-progresso se sparlassi di queste nuove tecnologie che hanno di fatto reso la vita a bordo molto più semplice e confortevole che in passato, ma mi resta un tarlo: QUANTE DI QUESTE IMBARCAZIONI MODERNE DOTATE DI GIROSCOPIO E TRIM TABS AUTOMATICHE SAPREBBERO ANDAR PER MARE DIGNITOSAMENTE SENZA TALI DISPOSITIVI? Ricordo lo spot di un notissimo cantiere di fisherman americani che, non molti anni fa, pubblicizzava un suo modello su una altrettanto nota testata giornalistica statunitense, vantando l’assenza dei flaps (manuali), nemmeno come optional. Un ricordo talmente indelebile da averne voluto parlare anche nel libro. La classica eccezione che conferma la regola: uno scafo nasce con un determinato comportamento di navigazione teorico, che strada facendo può vedersi modificato in seguito all’aggiunta di accessori particolarmente invasivi ma ritenuti indispensabili al momento del lancio, o per via di preferenze dei clienti per taluni layout di coperta differenti rispetto a come il cantiere l’aveva progettata in origine, o per via di qualsivoglia motivo intervenuto successivamente all’ingegnerizzazione ed al test in vasca dello scafo. Fin quando i vizi di assetto derivano dalle motivazioni di cui sopra, poco male. Il peggio sarebbe ove la progettazione sia tecnicamente carente/economica… “tanto poi ci piazziamo dentro un Seakeeper e risolviamo la…


Jarrett Bay: gli Stradivari dell’oceano

Cosa c’entra un abete con i marosi dell’Atlantico? Perché, a dispetto della tendenza di pensiero statunitense che vorrebbe le barche da pesca quanto più pesanti possibile, qualcuno pensa che sia più salubre per la barca, giusto, confortevole il contrario? In me affiora una sorta di composto entusiasmo quando sono chiamato a scrivere di taluni cantieri statunitensi, e quasi mi sento partecipe della loro gloria, se non altro perché (me misero, che mi accontento di così poco…) mi faccio portavoce italiano dei segreti nascosti dietro queste opere d’arte. Tanto è l’entusiasmo, da aver inserito questo cantiere nel mio libro Fisherman Americani! Jarrett Bay è un costruttore di barche custom che ha all’attivo quasi un centinaio di realizzazioni, tutte contraddistinte da uno studio progettuale customizzato anch’esso sulle specifiche esigenze e richieste del cliente. In poche parole, per Jarrett Bay ogni nuova barca commissionata è un laboratorio navigante, deputato ad affinare  senza soluzione di continuità le già superlative tecniche costruttive di questo cantiere. Se di tradizione ci è imposto parlare nel caso di Jarrett Bay, lo stesso vale per il termine “SCIENZA”. Un Jarrett Bay vede l’utilizzo di diverse essenze di legno per le carene: si va dall’abete stratificato all’ okoume per i tre layer più esterni. L’okoume di cui abbiamo parlato poco sopra non è una scelta casuale, ma il risultato dello studio del comportamento delle fibre di questo legno, che ne hanno rivelato l’alta predisposizione alla curvatura ed alla super-finitura che conferiscono al manufatto un aspetto privo della minima imperfezione. Per tale motivo, la “pelle” di un Jarrett Bay è costituita di questa essenza di legno. Tale strato esterno viene a sua volta resinato con epossidica di formula proprietaria e, in casi come Jaruco, con interposizione di strati di kevlar e carbonio. La sagomatura della carena vede il suo baglio massimo…


MADEIRA: storia di un Grady White sfortunato

Questo articolo è scritto senza giochi di colore, quasi per rispetto verso le sorti del “soggetto” di questa storia. Il materiale fotografico è di qualità precaria poiché ottenuto con le prime fotocamere digitali in commercio, dalla risoluzione risibile rispetto agli standard attuali. Ma stiamo pur parlando di “storia”! La ricerca costante di argomenti tecnici da affrontare in modo oggettivo ed esaustivo, mi costringe spesso alla condizione di “rifiatare” un po’, dedicando la mia attenzione a temi (o a barche) nei quali posso concedermi di essere leggermente più “autobiografico” e sentimentale del solito. Nella vita di un diportista pescasportivo, determinate barche rimangono nel cuore per svariati motivi. Il mio amore “irrisolto” è stato un vecchio Grady White 257 Trophy Pro, comprato per 27,5 milioni di lire da un signore in pensione che, per problemi di salute, non ebbe più modo di usarla per anni. La barca era in condizioni tanto pietose da non poter navigare, per le incrostazioni in carena e sulle eliche. Giaceva all’ormeggio di un pontile di Foce Varano, chissà da quanti anni ferma. Quando andai con mio padre a vederla fu subito amore. Le linee tradivano una gran voglia di prendere il largo- dopo una sana e profonda toelettatura, s’intende- le finestrature trapezoidali definivano tratti decisi e scolpiti, le falchette erano larghe e marmoree nonostante anni di sole e sale. I due vecchi OMC da 205cv partivano al primo colpo, e questo era già un buon punto di partenza. Quella barca ci chiedeva aiuto e nuova gloria ed in qualche modo la reverenziale suggestione di un vecchio campione un po’ acciaccato e dimenticato si fece strada in noi. In quel pozzetto sgombro e incorniciato da quelle modanature di teak screpolato dagli elementi vedevo imbarcare le mie prime alalunghe, magari una bella aguglia imperiale, e tanti dentici. Doveva essere lei….