Fisherman, tra passato e presente.
Qualsiasi diportista pescasportivo con buona memoria e spirito di osservazione non può negare che la nautica specialistica abbia subito una metamorfosi, che ha coinvolto la progettazione delle nostre barche da pesca, la loro costruzione ed ha anche influito molto sulle abitudini di chi le utilizza. Una profilazione storica di massima è stata di proposito inserita nel mio libro Fisherman Americani, perché dalla tradizione si possa continuare a trarre spunto per un nuovo acquisto od un nuovo progetto. Un tempo in cui la sicurezza in mare era direttamente proporzionale alla solidità strutturale (non che non lo sia ancora) ed al peso, in concomitanza con tecnologie che si basavano sulla ridondanza dei materiali e sull’integrità della costruzione, era davvero raro trovare, ad esempio, una tuna door su barche di lunghezza inferiore ai ventotto piedi. Integrità intesa come assenza di aperture od “interruzioni” di qualsiasi sorta. Personalmente ho vissuto la mia “gavetta nautica” su diversi esemplari di barche americane, tra cui due Grady White, e ricordo ancora il mio 257 Trophy Pro, che sfiorava i nove metri di lunghezza f.t. per tre di larghezza, con uno specchio di poppa alto e completamente chiuso. L’altezza della murata in pozzetto era davvero importante, forse anche un po’ troppo, così come la larghezza delle falchette, realizzate con profilo trapezoidale per ragioni non solo estetiche, ma anche e soprattutto meccaniche e costruttive. La nervatura del profilo dei trincarini, che proseguiva ininterrotta abbracciando l’intera murata poppiera, conferiva rigidità strutturale all’insieme. Ma ricordo anche che questo fu il principale impedimento alla mia volontà di cimentarmi già all’epoca nel drifting ed in genere in tecniche di pesca “ambiziose”. L’idea di affacciarmi fuori bordo per dover sollevare a peso morto dall’acqua un grande pesce mi faceva desistere, tanto più che spesso mi ritrovavo da solo in barca. L’alternativa sarebbe consistita nell’emulare…