fisherman americani

Grady White 208 Adventure: Piece of my heart <3

C’era una volta un Grady-White 208 Adventure, il mio 208. Avevo trovato l’annuncio nella penultima pagina della rivista Nautica , a nome di un grande importatore del marchio Grady White che aveva da poco cessato l’attività. – La barca era sotto cellophane, senza elettronica né motore. Era ben accessoriata però, dato che aveva l’hard top con le chiusure perimetrali, anch’esse imballate e riposte in cabina. Dopo una breve ma proficua trattativa, accordammo il prezzo e la facemmo consegnare presso il cantiere di zona che avrebbe installato il motore, un ruggente Evinrude 225cv Ficht-Ram D.I. nuovo, giusto 5cv meno della massima potenza applicabile su quello scafo . Installato il motore e testata la barca, notammo l’esuberanza del package, tant’è che mai abbiamo provato a darvi tutta manetta. L’erogazione di quei due tempi ad iniezione diretta non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei moderni quattro tempi, al paragone moscia e piatta. Ricordo la cura per i dettagli che Grady White riservò a questo suo walkaround entry level, paragonabile a quella delle sue ammiraglie. Notai in particolare, il foro di scolo del vano chiuso porta-strumenti, provvisto di boccola smussata e di cucchiaio per evitare anche il minimo ristagno di acqua! Nel pozzetto , nel suo piccolo, non mancava nulla: vasca del vivo con ricircolo, vasche del pescato coibentate, imbottiture perimetrali dei trincarini, persino il supporto porta-palla da affondatore (!), portacanne ad incasso e sull’hard-top, plancetta di poppa . Insomma, avevo tutto ciò che mi potesse permettere di ambire a grandi avventure di pesca , ed ora avevo acquistato il mio primo fisherman americano nuovo! Tutto ciò che toccavo era ricoperto di quel brillante e pastoso gelcoat color crema tipico di GW, il bottazzo era pieno e solido, perfettamente raccordato agli spigoli e le curvature in prossimità degli angoli conservavano la loro linearità e…


Hard-Top: accessorio indispensabile?

Un accessorio che delinea la completezza estetica e funzionale di una barca da pesca è senza dubbio l’hard-top. Questo elemento ha una valenza essenziale per coloro i quali vogliano una protezione “stabile” contro le intemperie ed il sole cocente estivo, ma anche per chi pratica tecniche di pesca “ingombranti” come la traina d’altura. L’hard-top, infatti, diviene un supporto importante per canne e divergenti, oltre che una piattaforma sopraelevata sulla quale posizionare le antenne dell’elettronica di bordo ma anche, in alcuni casi, una postazione di guida aggiuntiva (leggasi Marlin Tower o Tuna Tower). Diversi hard-top nascono con una struttura tubolare progettata in modo tale da agevolare l’arrampicata sul tetto, ed anche con la predisposizione per la replica dei comandi su una seconda guida superiore, con cablaggi meccanici ed elettrici di solito nascosti nella falchetta o in un quadro ausiliario in zona guida. In tali casi, la parte superiore del tetto diviene calpestabile e, per tale ragione, il gelcoat viene trattato con finitura antisdrucciolo, non fosse altro perché, seppur senza seconda guida, lassù ci finiscono le antenne gps, radar, vhf, fari di profondità ed ogni altro accessorio indispensabile alla navigazione che non si limiti all’immediato sottocosta. L’hard-top influisce spesso sull’assetto di navigazione, migliorandola o peggiorandola rispetto a quella dello stesso scafo privo di tetto rigido. Un hard-top ben progettato ha un’altezza tale che agevoli la vivibilità del ponte comandi ma che, allo stesso tempo, non innalzi il baricentro dello scafo in maniera deleteria per la tenuta di mare (rollio in primis). In secondo luogo, la struttura tubolare deve essere realizzata con leghe metalliche leggere. Su molte imbarcazioni da pesca sportiva spesso si vedono strutture in acciaio inox che sicuramente donano un aspetto lucente e rifinito all’intera realizzazione e durata nel tempo, ma, di contro, costringono ad impiegare sezioni ridotte dei tubi perché l’hard-top…


58° Salone Nautico di Genova: le aspettative di un nuovo inizio, senza dimenticare il passato.

Il 20 settembre è vicino e la sete di novità dal settore nautico si fa sempre più viva. Quest’anno mi aspetto un cauto risveglio della proposta nautica, soprattutto da oltreoceano, pur consapevole che il cambio euro/dollaro non favorevole potrebbe rendere giustificabile il peso economico dell’importazione solo a partire da barche di un certo importo in poi. Comunque sia, fa sempre piacere constatare lo stato dell’arte dei costruttori d’oltreoceano a più riprese, da sempre, precursori e pionieri nell’ adozione di soluzioni ed accorgimenti poi diventati, dopo poche stagioni, di dominio comune sulle imbarcazioni “nostrane”. Non ultimo, mi aspetto una certa presenza di eliche traenti su Fisherman nazionali, sulla scia di esperimenti andati a buon fine su scafi di cantieri blasonati che, con successo, solcano i mari degli Stati Uniti d’America (leggasi Garlington e Jarrett Bay). Per citare esempi meno sofistici quanto a raffinatezza tecnologica delle costruzioni, quantunque altrettanto validi, ricordo il Luhrs 37 Open, che adotta proprio le trasmissioni ad eliche traenti Volvo IPS e da anni naviga con questa avveniristica tipologia di trasmissione (avveniristica per lo meno per la nautica da diporto). Tecnologia parte, mi aspetto una sempre più cavalcante tecnologia nel campo dell’elettronica di bordo, che d’altronde è stata già oggetto di mie critiche riferite ad un uso non appropriato delle stesse (vedi video), così come un parziale ritorno al passato nelle nuove motorizzazioni fuoribordo “aspirate”, soprattutto sulle potenze di punta (leggi articolo) Mi aspetto anche una certa presenza di fuoribordo a rastrelliera in poppa a grandi center console, tipologie di Fisherman che stanno dilagando anche nei nostri marina nonostante la benzina sia gravata da accise sempre più pesanti. Da specificare, però, che i grandi Center Console moderni sono anche molto più confortevoli dei cc tradizionali di diversi anni fa, i quali erano orientati esclusivamente alla pesca sportiva e, pertanto,…


Pesca sportiva e Crociera con un Fisherman? Si può fare!

È ben noto, ad appassionati e non, che le prerogative di una barca da pesca che possa a pieno titolo denominarsi “fisherman” siano ben definite, essenziali per l’ergonomia e la funzionalità in fase di pesca nonché, talvolta, molto vincolanti per un uso differente dell’imbarcazione stessa. Talmente vincolanti da impedirne un utilizzo diverso dall’attività alieutica in senso stretto. Se tale pecca può esser tollerabile su una piccola barca, della quale sarebbe eccessivamente velleitario pretenderne l’onnivalenza, altrettanto non può dirsi qualora la tecnicità della vocazione sportiva impedisca la fruibilità per crociere in famiglia o per altro ameno impiego di una barca di dimensioni importanti. In realtà, ci sono caratteristiche tipiche dei grandi fisherman che, paradossalmente, possono solo giovare all’impiego strettamente diportistico e ricreativo della barca: ✔ Tenuta di mare ✔ Ampi spazi in pozzetto ✔ Sottocoperta razionale, con ampie volumetrie realmente vivibili ✔ Navigazione asciutta ✔ Sicurezza in mare ✔ Grandi autonomie e doti di navigazione con mare avverso Tenuta di mare. È noto che determinati tipi di pesca sovente vedono condizioni di mare avverse, spesso inevitabili per via del lungo periodo che si trascorre in altura. Pensiamo alla traina ai grandi pelagici, ad esempio. Chi già pratica questa affascinante tecnica di pesca avrà sicuramente avuto a che fare con partenze su acque calme come olio, e rientri in porto con grecale forza 4 ed oltre. I fisherman di rango sono costruiti in guisa tale da sopportare elevate sollecitazioni senza arrecare alcun danno alle strutture. Una barca da diporto costiero, a meno che non mutui la carena da un modello nato per l’altura, difficilmente sarà caratterizzata dalla tenuta di mare di quest’ultima, semplicemente perché non è nata per questo. Non è mistero che molte barche definite “da crociera” hanno comportamenti con il mare formato quantomeno discutibili. Ampi spazi in pozzetto e sul…


Andiamo a comprare la Tua barca usata

Un diportista soddisfatto è una persona messa nelle condizioni di godersi il proprio tempo libero nel migliore dei modi… Ed il tempo libero incide sulla qualità della vita più di qualsiasi lauto stipendio o lavoro redditizio. Per questo, ogni volta che riesco a soddisfare le aspettative di un mio cliente, quella soddisfazione è anche mia e mi investe di energie positive e produttive. Ieri sera, per esempio, c’è stato il naturale epilogo del 👉percorso di consulenza con  ✔Fisherman’s Report e ✔ visita ispettiva con prova in mare,  iniziato circa un mese fa e culminato nell’acquisto della barca sulla quale, insieme ai clienti, ho convenuto di doverli indirizzare, in base alle esigenze ed all’utilizzo che essi ne faranno. Dopo aver ✔ispezionato la barca, ✔l’ho provata ed ✔ho effettuato vari test di verifica per constatarne lo stato di conservazione ed usura dei vari componenti ed impianti; ✔ ho preso nota degli interventi da effettuare, ordinandoli per priorità e ✔ ne ho consegnato l’elenco al cliente, per far sì che egli abbia già un riepilogo dei lavori da fare non appena la barca verrà scaricata a destinazione, in modo tale che non debba ingaggiare il personale del suo rimessaggio per una “caccia alle riparazioni” che gli farebbe altrimenti perdere giorni preziosi di mare, di pesca e di posto barca già pagato. Se pensi di aver individuato la barca giusta, sappi che farsi catturare da belle foto non è sufficiente e che una barca usata può celare non poche insidie e difetti non di certo appurabili tramite il link di un annuncio di vendita. A questo io dedico il mio tempo e la mia passione, tanto da averne fatto la mia attività, per far sì che l’acquisto della barca sia per Te un’esperienza da ricordare e foriera di soddisfazioni durante tutto il tempo in…


“Un vero fisherman non è se la torre non c’è” -Quanto è bella.. ma quanto ti costa?

Uno dei segni distintivi del fisherman americano nell’immaginario di qualunque diportista pescasportivo è senza ombra di dubbio quella svettante struttura a traliccio metallico chiamata tuna tower o marlin tower, in base a quanti livelli di sopraelevazione essa preveda (differenze analizzate nel libro “Fisherman Americani”, acquistabile cliccando QUI). Nata originariamente sulle barche per la pesca professionale ai grandi rostrati e pelagici, come struttura che permettesse di supportare una postazione di avvistamento sopraelevata e consentisse all’equipaggio di raggiungerla, è stata negli anni ristilizzata ed adattata alle barche da diporto, costituendone un’inconfondibile icona estetica e funzionale. Oggigiorno, sulle barche per la pesca sportiva, si sceglie l’opzione della “torre” per lo più per vezzo estetico ed a mo’ di status symbol, facendone un reale utilizzo nelle uscite in altura con la stessa frequenza con la quale indossiamo l’orologio a cipolla… In verità, come è vero che alcune carene oceaniche mal si adattano al moto ondoso tipico di alcuni dei mari che bagnano la nostra nella penisola, è altresì opportuno specificare che una tuna tower, soprattutto su una barca dal baglio limitato e dal peso modesto, può rendere problematico l’utilizzo della barca stessa in determinate condizioni di moto ondoso. A tal riguardo occorre osservare quanto segue: la struttura di una torre, per quanto leggere siano le leghe metalliche impiegate per la sua costruzione , ha un peso non trascurabile; conseguenza diretta ne è l’innalzamento del baricentro, che innesca inevitabilmente reazioni più accentuate con moto ondoso al traverso; non tutte le barche, peraltro, “sopportano” la presenza della torre a. per via dell’angolo di inclinazione degli assi di trasmissione; b. per via della posizione avanzata della zona guida, che porta la torre stessa a gravare in maniera tale da modificare l’assetto idrodinamico delle eliche in rotazione; i consumi ne risentiranno nell’ordine di un incremento di circa il…


Fuoribordo Quattro Tempi: il ritorno alla Semplicità di Mercury Verado

RIFLESSIONI DI PRIMO PELO Nel corso delle mie letture di aggiornamento ho avuto modo di approfondire la questione della -per me- più che auspicata “marcia indietro” di Mercury verso una unità aspirata, più semplice e virtualmente affidabile della pur sofisticata ma complessa unità sovralimentata 6L che la Casa Madre ha spinto fino alla soglia dei 400Cv. La serie Verado ha portato, di fatto, per prima alla ribalta il concetto di downsizing nelle motorizzazioni fuoribordo, con un design a sei cilindri in linea e cubatura molto contenuta -troppo, per i miei canoni di valutazione in campo nautico- di appena 2600cc. Tale blocco viene “spremuto” fino alla straordinaria potenza di 400cv (153cv/litro di potenza specifica). A questo punto, dov’è il vantaggio di una cubatura contenuta, per il diportista? – Manutenzione ridotta? NO, a causa della presenza della sovralimentazione e dell’impianto di raffreddamento dei gas di scarico. Manutenzione, in definitiva, sovrapponibile a quella di un turbodiesel, con molti condotti attraversati da acqua salata e una moltitudine di anodi sacrificali in posti più o meno angusti da sostituire periodicamente. – Peso ridotto rispetto ad un aspirato di pari potenza?: NO, considerando che siamo a 303 Kg – Consumi ridotti? In linea teorica sì, ma nella realtà varie schede di test dimostrano il contrario, a parità di scafo. Allora, a cosa serviva una motorizzazione così raffinata, ma anche articolata e COMPLESSA? A bocce ferme, vedendo l’evoluzione della gamma Verado verso una più paciosa e, magari, ben più affidabile unità ASPIRATA V8 di grande cubatura, direi per una sorta di BRANDING LABEL: l’idea del fuoribordo TURBO garantiva molte cose assieme, almeno sulla carta: coppia elevata a un basso regime, peso ridotto, ridotte emissioni, manutenzione dal costo contenuto… dopotutto si trattava di un “semplice” sei cilindri in linea!   COSA PROMETTE LA NUOVA SERIE VERADO V8? –…


Barche da pesca usate: il marchio serve, ma non basta!

Quando si è alla ricerca della barca, soprattutto se usata, si tende a restringere il campo di ricerca alla serie di nomi che hanno acquisito una certa fama nella tipologia che cerchiamo. Nulla di errato fin qui, a patto che questo non sia l’unica discriminante o filtro per la nostra ricerca! Non è sufficiente acquistare la barca di un marchio blasonato per esser certi di aver investito bene, per quanto possa essere considerato “investimento” la spesa per l’acquisto di una barca (a tal proposito vi invito a leggere il mio libro  Le 11 Buone ragioni per NON Comprare una Barca che vi darà utili spunti a riguardo…). Non è difficile lasciarsi sedurre dal brand conosciuto, soprattutto se trattasi di un fisherman americano, senza opporre “resistenza” alcuna alla suggestione di possederlo e, soprattutto, senza che ci rendiamo conto delle reali condizioni di conservazione del mezzo che stiamo guardando con occhi imbambolati, anziché strabuzzarli per la precaria quanto trascurata manutenzione che il venditore gli abbia riservato negli anni.   LE BARCHE VANNO OSSERVATE E NON SOLAMENTE GUARDATE!! Le componenti in gioco nella dura arte di acquistare la barca usata giusta sono molteplici, e tutte attribuibili a due “centri di responsabilità”: IL CANTIERE COSTRUTTORE ed IL PROPRIETARIO. Da un lato, infatti, occorre analizzare: a ritroso la storia del modello di barca che stiamo esaminando; le vicissitudini del cantiere costruttore (passaggi società, fallimenti, fusioni, ecc…); Eventuali caratteristiche costruttive che possano generare problemi con il tempo (per esempio serbatoi carburante in alluminio, particolari costruzioni in sandwich per l’opera viva, ecc) Questo perché determinati eventi societari o periodi di crisi o, ancora, la necessità del raggiungimento di particolari obiettivi di bilancio in taluni esercizi, possono aver comportato economie nella scelta delle componenti e dei materiali di costruzione dello scafo. Tutti fattori che, in complesso, possono dar vita ad una barca foriera di problemi di ricorrente inaffidabilità. Dall’altro, occorre accertare: Le EFFETTIVE OPERAZIONI DI MANUTENZIONE effettuate a bordo e…


Importazione di una barca americana: i costi vivi e quelli accessori

Il tema dell’ importazione di una barca dall’ America è molto attuale e reputo essenziale dedicarvi un po’ di tempo per scriverne a riguardo, specialmente in vista della bella stagione, che richiama pescatori e diportisti verso l’elemento “mare”. Personalmente mi è capitato di importare imbarcazioni dagli Stati Uniti d’ America diverse volte, soprattutto quando il tasso di cambio euro/dollaro favorevole rendeva estremamente conveniente attingere dal mercato U.S.A. piuttosto che da quello locale. In più, chi usava la barca per la pesca sportiva era quasi “obbligato” per lo meno a rivolgere  l’attenzione agli annunci di vendita di fisherman d’oltreoceano. Oggi la scelta non è più così scontata, ma è opportuno analizzare insieme ogni singolo caso. A tal proposito, Vi invito a visionare il PROSPETTO COSTI DI IMPORTAZIONE (clicca qui) che ho preparato appositamente per rendere più trasparente e comprensibile possibile la serie di costi annessi e connessi all’importazione di una barca dall’ America. Il prospetto fa riferimento ad una barca da me importata, ma ho adeguato il tasso di cambio a quello odierno, quindi all’epoca in cui effettuai l’operazione, l’affare fu certamente più appetibile (il cambio euro/dollaro era all’epoca  1.349)   La necessità di valutare ogni singolo caso deriva dal fatto che i costi di trasporto (sia su gomma che su nave) e di sdoganamento incidono in quota variabile sia in base al costo, ma soprattutto, più che proporzionalmente in base alle dimensioni della barca! Infatti vi sono diverse dimensioni e tipologie di container, chiusi, semichiusi, aperti (cosiddetti “flat rack”) i cui costi variano consistentemente. Per esempio, la barca di cui al prospetto che vi sottopongo entrava in un container da venti piedi chiuso (tra i più economici) per cui l’incidenza del nolo marittimo è risultata solo relativa rispetto al totale dei costi. Viceversa, può accadere che su una barca datata di trentadue piedi,…


A cosa serve la barca BELLA, se questa è INGOVERNABILE?

L’onda lunga dello scirocco di un lembo scorcio di Mare Ionio (nel momento in cui scrivo questo articolo sono a Marina di Ugento) mi suggerisce una riflessione di cui voglio rendervi partecipi. Stavolta, infatti, pongo l’attenzione su una caratteristica spesso non rilevabile, nelle fasi precedenti l’acquisto di una barca. Un fattore del tutto TRASCURATO da alcuni diportisti che non vedono l’ora di portarsi a casa la nuova barca per godersi la bella stagione ormai alle porte. Indipendentemente da quanto siete pratici di navigazione e gestione della guida della barca, quest’ultima può essere, quanto a manovrabilità, virtuosa o lacunosa. Il mercato è pieno zeppo di barche con ❌ ripartizione dei pesi ORRIBILE, ❌ posizionamento e interasse delle eliche ERRATI, ❌ timoni SOTTODIMENSIONATI, ❌ vendute con ELICHE INADEGUATE rispetto alla coppia motrice e al regime nominale di funzionamento dei motori, scelte dal cantiere o dal venditore che motorizza la barca solo per dimostrarvi che essa raggiunge la velocità promessa. Tutti gli errori commessi negli ambiti di cui sopra si sostanziano in una problematica governabilità  dell’imbarcazione. Non è mistero che alcuni modelli nascano con pecche congenite di manovrabilità più o meno gravi, soprattutto in spazi ristretti o in condizioni di emergenza (si pensi alla necessità di rientrare in porto con un solo motore funzionante). E poi ci sono, all’opposto, fenomeni di barche nate con assetto e bilanciamento dinamico tanto impeccabile da rendere possibile la correzione della rotta, a velocità di crociera, tenendo addirittura la barra del timone dritta e agendo semplicemente sui flaps. Tra questi FENOMENI DI EQUILIBRIO DINAMICO cito, ad esempio, l’ Albemarle 305 Express. Tengo a precisare, tuttavia, che l’equilibrio dinamico non va di pari passo con l’equilibrio statico, infatti il modello citato, se da un lato rappresenta il benchmark di riferimento per la manovrabilità, non lo è per tenuta di mare da fermo…