Barca da pesca

Seaswirl Striper 2101 WA : un generoso, piccolo fisherman tuttofare.

Il mercato USA dei fisherman offre prodotti per tutte le tasche ed esigenze, o quasi. Ci sono cantieri di produzione “entry-level” ed altri che si pongono a cavallo tra il segmento medio (categoria Bayliner Trophy, Angler , Sea Pro, per esempio) e quello premium (Boston Whaler, Grady White, Regulator, ecc…) Seaswirl si pone proprio in questo segmento ibrido, in quanto la sua produzione ha offerto, in passato, sempre prodotti costruiti con elevati standard di ripetibilità tipici dell’alta produzione di serie, ma allestiti in modo essenziale (con alcune economie) a serie equipaggiate con hardware e rifiniture tipiche del segmento premium. Naturalmente, la differenza si notava a listino. Un Seaswirl 2101WA “standard” costava, a parità di motorizzazione, circa il 15% in meno rispetto alla corrispondente “Limited Edition”, versione premium, appunto, di casa Seaswirl, che tra il 2006 ed il 2009 ha offerto per ogni suo modello. La mia personale scelta per la seconda barca di famiglia è ricaduta proprio su un Seaswirl Striper 2101WA Limited Edition. Ho scelto un walkaround, ancora una volta, per le ragioni già spiegate nel mio libro Fisherman Americani, ma anche perché un ricovero seppur minimale in mare fa sempre comodo, anche a poche centinaia di metri dal porto. La scelta del cantiere proviene dalla mia precedente esperienza con uno Striper 1851 WA, che mi ha dato la possibilità di testare “sulla mia pelle” le qualità che conoscevo per parola degli amici americani. La scelta del modello è stata una scelta quasi obbligata, date le esigenze della compagine femminile della famiglia che richiedeva uno spazio da adibire occasionalmente a prendisole, oltre che un’area sottocoperta non claustrofobia per cambiarsi e per stivare le vettovaglie. Il 2101 WA ridisegnato (è stato riprogettato completamente nel 2006) è, di fatto, un 2301 “tagliato”: infatti, a fronte di una lunghezza fuori tutto di…


Acquistare un fisherman nuovo: la storia del Madeira II (parte 2)

Per chi non avesse seguito la prima parte, è possibile leggerla CLICCANDO QUI. —————————— […] La trattativa fu agevolata dal fatto che sia il dealer che il cantiere Topaz volevano portare la prima barca in Europa. Una operazione spot del genere, a fronte di un margine di vendita sicuramente inferiore rispetto allo standard, sarebbe costata senz’altro meno di sostanziose campagne pubblicitarie e trasporto di una barca da destinare a showroom e fiere in giro per l’Europa. L’accordo fu siglato il 24 dicembre del 2003 (chi se lo scorda!) con l’accordo inter partes che prevedeva di mettere a disposizione del dealer la barca per esporla al successivo Salone Nautico di Genova. La configurazione fu il frutto di una serie di fattori, non ultimo quello di poter utilizzare questa barca dalla vocazione nettamente tecnica, anche per occasionali vacanze con la famiglia. Infatti, in beffa della tradizione del fisherman americano, scegliemmo di far installare una plancetta di poppa di dimensioni non esagerate per non intralciare le attività prevalenti che quella barca avrebbe visto svolgere a bordo: la pesca, ovviamente. Feci modificare la dinette in modo da avere una cuccetta pullman aggiuntiva. L’elettronica di bordo (radar, gps cartografico, fishfinder doppia frequenza) era tutta su base Furuno, della serie NavNet con 3 display, tutti master, in modo da avere ridondanza in caso di avaria di uno o due display. I tre monitor erano collegati tramite router in rete, in modo da poter scambiare dati di navigazione e waypoints da uno all’altro. Il pilota automatico dapprima non fu previsto, ma il dealer lo installò a sue spese come ricompensa dell’aver rinunciato agli unici 15 giorni in cui qui alla fossa di Bari si pescano le alalunghe… per consentirgli di esibire il Madeira II al Salone di Genova, appunto. La scelta per l’Hard-Top anziché la Tuna Tower…


Rollio : quando pescare in deriva diventa un… twist!

PREMESSA La scienza della progettazione delle linee d’acqua è tutt’altro che perfetta. Trovare una barca che eccella in qualsiasi condizione di mare e di impiego è, per mia esperienza, IMPOSSIBILE. Detto ciò e rassegnati gli animi, affrontiamo un tema già eviscerato nel libro Fisherman Americani, ma che reputo opportuno riaffrontare soprattutto in questi primi calori estivi (e l’imminenza dell’ahimè brevissimo periodo di pesca al tonno rosso), che ci portano a desiderare una bella battuta a drifting. Chiunque abbia dimestichezza con questa tecnica sa quanto siano importanti le caratteristiche statiche di uno scafo. Vi sono modelli di fisherman americani (il cui più significativo esempio è citato ed argomentato proprio nel libro Fisherman Americani) particolarmente predisposti a soffrire il moto ondoso al traverso, in quanto il mix tra baricentro e diedro di carena le rendono estremamente “ballerine”. Parliamo di cantieri ai quali non si può certo insegnare a costruire fisherman, in quanto sono nati in questo settore. Più che altro sono progetti partoriti spesso anche trent’anni or sono, che offrono soluzioni di linee d’acqua e di allestimento che, al giorno d’oggi, subirebbero senz’altro rivisitazioni migliorative (come, appunto, detti cantieri hanno fatto sui loro attuali modelli che li sostituiscono). Le ragioni che portano un fisherman a “rollare” oltremodo sono principalmente: Il diedro di carena; La ripartizione dei pesi a bordo; Il baricentro. Sotto il primo profilo, una carena classica a V profonda (per profondo intendo a partire da un minimo di 22° di deadrise poppiera) è di per sé predisposta a rollare con mare al traverso, se non ben coadiuvata da reverse chines, da pattini e da chiglie, in alcuni casi. I reverse chines consentono di smorzare il rollio non appena lo spigolo della carena incontra l’acqua, frenandone, appunto, il movimento acceleratorio attorno al proprio asse longitudinale. I pattini, sebbene principalmente operano in navigazione…


Portacanne ad incasso: quali e perché sceglierli

Argomento già ampiamente eviscerato sia nel libro Fisherman Americani, sia nella guida sintetica La Barca da Pesca Perfetta, lo ritengo tuttavia meritevole di ulteriore approfondimento, se non altro perché i portacanne concorrono ad “attrezzare” al meglio la barca che vogliamo debba vestirci addosso proprio nei nostri momenti di diletto preferito: quando siamo a pesca. In questa sede eviterò di digredire su tipologie speciali di portacanne che comunque il mercato ci mette a disposizione per ogni esigenza, limitandomi a parlare di quelli classici, che devono essere sempre e comunque presenti a bordo di una vera barca da pesca, e che consentono, tra l’altro, di implementarne l’attrezzamento con accessori innestabili negli stessi, per ospitare più canne o divaricarle maggiormente. Ecco perché è fondamentale che i portacanne fissi siano quanto più possibile solidi ed affidabili. Il mercato ci propone una moltitudine di tipologie e qualità di portacanne ad incasso, davvero per tutte le esigenze e tasche. Il portacanna da incasso è un elemento peculiare e dev’essere inteso come “definitivo” quando lo si acquista, poiché comporta interventi invasivi a bordo della nostra barca (fori e carotature di falchette in primis). Come già introdotto, il mercato offre varie possibilità di equipaggiare la nostra barca, ma la scelta del prodotto dipende da: categoria di imbarcazione da allestire; gravosità delle discipline alieutiche che usualmente pratichiamo e dal budget che ci siamo prefissi per questo investimento. I portacanne più a buon mercato che, peraltro, mi sento di non consigliare se non per barche molto piccole con le quali praticare dell’ “innocuo” bolentino o traina molto leggera, sono i portacanne realizzati in materiali sintetici (per lo più in nylon). Li sconsiglio principalmente perché spesso non hanno sagomature ed interasse dei fori standard, per cui dovrete forare la barca appositamente per oggetti che dureranno senz’altro molto meno rispetto a portacanna…


Boston 190 Montauk: un classico sempre attuale

Non capita spesso, nel campo della nautica, di vedere modelli di barche resistenti ai decenni come se l’evoluzione non li riguardi minimamente. Quanto questo avviene è perché, evidentemente, il progetto è talmente perfetto, o i suoi difetti talmente amati, che non sarebbe proprio possibile eliminarli. Boston Whaler è maestra in classici senza tempo, tant’è che ha diverse menzioni nel libro Fisherman Americani, e non sarebbe potuto essere diversamente dato il rango e l’esperienza sul campo di questo storico cantiere. Che un Boston Whaler Montauk sia una barca dura, bagnata, scomoda per certi impieghi, è arcinoto. Ma andate a chiedere ai proprietari di un Montauk di cambiarla per un fisherman più confortevole, con murate alte e sicure, con carene più profonde: sarebbe come andare ad un motociclista e proporgli uno scambio della sua moto con un’auto. Il Boston 190 Montauk reinterpreta gli stilemi che hanno fatto,  di questa serie di center console , la fortuna di B.W. Murate basse ma protette da alte battagliole (optional), impianto elettrico integrato e codificato, antisdrucciolo estremamente efficace e duraturo su tutta la coperta (cosa rara perché problematica, per molti cantieri, in fase di distacco dello stampo), pescaggio ridotto per accostare in pochi cm di fondale, pur mantenendo una deadrise poppiera ragguardevole (16°), navigazione più asciutta grazie all’evoluzione della carena ad ali di gabbiano, divenuta una V profonda con talloni pronunziati rovesci; baglio sfruttabile per quasi tutta la sua estensione grazie alla sottigliezza delle murate interne. Questa compattezza delle sezioni di  murata è possibile con il metodo costruttivo di B.W., che consente di conferire rigidità strutturali proprie di costruzioni generalmente molto più “voluminose”. Di contro, con una struttura siffatta, è molto delicato operare modifiche o aggiunte di ferramente di bordo, poiché la schiumatura diviene vulnerabile in caso di forature mal fatte o non sigillate a dovere….


Come lucidare il gelcoat della tua barca senza danneggiarlo.

Premesso che è la prima volta che mi cimento direttamente nella lucidatura dello scafo senza delegarne l’operazione ad alcun carpentiere nautico, illustro sinteticamente come ho proceduto. Il BabyMadeira, dopo 11 anni di onorato servizio, necessitava di un po’ di trucco e parrucco per tornare a brillare come il giorno della prima consegna… Ecco la procedura che ho seguito. A) Innanzitutto, al fine di evitare che, di abrasivo, non vi sia alcuna scoria estranea oltre alla pasta lucidante, è necessario lavare con cura minuziosa le superfici che si andrà a trattare con la stessa. Io ho usato un prodotto nautico, biodegradabile ed a bassa emissione schiumosa, della StarBrite: il Sea Safe Boat Wash . Per le parti più ostili è indicato uno sgrassante per gelcoat, come il CFG Blaster Nautica . C’è chi usa del normale sgrassatore per uso domestico ma personalmente preferisco evitarne l’uso a bordo, in quanto corrosivo sul gelcoat. B) Dopo la pulitura è necessario un generoso risciacquo ad acqua dolce, dopodiché bisogna che lo scafo asciughi completamente. C) La fase di lucidatura del gelcoat è la più gratificante esteticamente, ma anche più delicata. E’ necessario usare cautela nella pressione di utilizzo della levigatrice, che deve essere tassativamente a basso regime di rotazione; il tampone dev’essere in lana o gommapiuma: questi materiali consentono di dissipare il calore e quindi ridurre le probabilità di “bruciare” il polish. I cultori della carpenteria nautica bocciano gli elettroutensili a favore del guanto da carrozziere e di paste più aggressive. Io ho preferito usare un prodotto molto più delicato ed aumentare l’intensità di lucidatura con una levigatrice poco potente, utilizzata al minimo regime possibile. Per quanto riguarda la levigatrice, un esempio a buon mercato è la Valex L1200, con un regime di rotazione minimo di 1150 rpm, che garantisce di non danneggiare il gelcoat, né di bruciare…


Fisherman rari : Regulator 26 Express

Ho sempre amato le linee pure, senza concessioni alle mode, a tutto ciò che è “usurabile” e di passaggio. Il mio libro Fisherman Americani ha forse un po’ troppo odore di nostalgia, ma a me il fisherman è sempre piaciuto così. Bello perché essenziale, nella sua funzionalità e durevolezza nel tempo ed a dispetto degli Elementi naturali. Questa è una barca che ha conosciuto un breve ma solido successo. Breve perché ne sono stati prodotti solo quarantatre esemplari. Solido perché più dell’ ottanta percento dei proprietari originari di questa barca, la possiede tutt’ora. La ragione dei pochi esemplari consegnati era l’elevato costo di produzione, che si traduceva in un costo di listino altrettanto importante, sicuramente al di sopra dei prezzi di qualsiasi altro ventisei piedi walkaround od express. Ma Regulator giammai avrebbe lesinato sulle caratteristiche costruttive e di finitura che ancora oggi contraddistingue i suoi manufatti, pur di rientrare in una fascia di costo “popolare”. Prova ne è il fatto che, a distanza di oltre venti anni, un Regulator si presenta ancora con il suo gelcoat lucente come se avesse visto poche primavere. Lo scafo di un 26 Express, pur essendo di identica geometria rispetto al corrispondente CC, lavora in maniera diversa. Di fatto è proprio questa la peculiarità dello scafo: riuscire a rendere al meglio, sia con prua scarica (CC) sia con prua pesata (Express). In condizioni di mare calmo, infatti, il Regulator 26 CC taglia la superficie dell’acqua ad un terzo di carena, per una questione di ripartizione dei pesi e dunque di assetto. Il 26 Express, invece, taglia il mare a due terzi di carena, per cui ha una direzionalità, già eccellente in quest’ultimo, ancora più spiccata ed un abbrivio più progressivo: se ipoteticamente avessimo a disposizione un 26 CC ed un 26 Express e, a velocità…


(NON) basta che sia americana! Repetita iuvant.

Oggigiorno si assiste ad una sopravvalutazione del prodotto “barca” made in U.S.A. spesso ingiustificata. Parlo ovviamente del mercato italiano, ricco di barche spesso passate di mano più e più volte. Il che non è necessariamente un male, se i proprietari che vi si sono avvicendati erano accomunati dalla stessa passione per il mare e dal rispetto per la propria barca. Il punto, semmai, è che una barca che ha avuto tre o quattro proprietari necessita della ricostruzione di tre o quattro storie, il che spesso non è possibile, per irreperibilità degli stessi o per altri motivi. Il nostro mercato, tuttavia, a causa del tasso di cambio sempre più sfavorevole che rende antieconomiche le importazioni di barche di budget medio-basso, stenta ad arricchirsi di barche “fresche”, e va a finire che, sfogliando gli annunci dei portali di vendita, abbiamo davanti agli occhi sempre le solite offerte. Questo ha dato adito a molti proprietari in procinto di cambiar barca (ma evidentemente non così motivati a farlo…), di fare cartello sui prezzi, innalzandone l’asticella e rendendo le loro stesse barche praticamente inavvicinabili dai potenziali interessati. Sembra quasi che basti avere il logo di un cantiere americano sul giardinetto per sentirsi in diritto di chiedere cifre al di là della ragionevolezza. D’accordo, è vero che il blasone è un valore aggiunto al prodotto… AGGIUNTO, appunto! Questo significa che, se la barca versa in condizioni critiche o comunque di precaria conservazione e manutenzione, per quanto di buon nome possa essere il suo costruttore, il valore di partenza è irrimediabilmente al di sotto di ogni apprezzamento dato dal brand. Come più volte scritto nei miei articoli passati e come continuerò instancabilmente a ripetere sia per iscritto sia a voce nelle mie consulenze, il prezzo, nella nautica, non lo fa un listino Eurotax, ma la storia stessa della…


DIVERGENTI: STILE, E NON SOLO

A qualsiasi pescasportivo capita, prima o poi, di incantarsi nel vedere svettare su grandi fisherman convertible alte tuna tower con annessi tutti gli armamenti, ivi inclusi lunghi outriggers, per il big game ai grandi pelagici. Quando si pratica la traina d’altura, è preferibile filare quante più lenze possibile, per creare l’effetto “branco” in scia, ma soprattutto per massimizzare le possibilità di incontrare l’ambita preda… Solitamente su fisherman dai 19 ai 24 piedi non è possibile disporre più di 5-6 canne in pesca senza correre il rischio di matasse inestricabili, a meno di non usare gli outriggers, o divergenti. Questi “pali” hanno la funzione di divaricare le lenze delle canne più esterne per dare spazio ad ulteriori canne da filare a distanza intermedia. Ma non solo: tenendo le lenze sostenute dall’alto, sarà possibile indurre un movimento maggiormente adescante a esche di superficie come i kona o i bubble jet. Infatti i divergenti risultano particolarmente idonei, se non addirittura indispensabili per la traina ai grandi rostrati come le aguglie imperiali o i pesci spada. In base alle dimensioni della nostra barca da pesca, sceglieremo i divergenti per tipo e lunghezza. Di solito sulle barche fino ai 21-23 piedi si opterà per i gunwale mount (montaggio a falchetta) o i t-top mount, ove il “tettuccio” sia presente. I primi sono i più economici e si presentano come un kit costituito da pali generalmente fissi se in alluminio, o telescopici se in carbonio, e portadivergenti che di fatto sono dei portacanne ad incasso in falchetta ma con sezione e inclinazione adatta ad ospitare il “pole”, nei cui passanti passerà il cordino che, a mo’ di alzabandiera, sposterà su e giù la pinza di sgancio attraverso la quale far passare la lenza della canna che si vorrà divaricare. L’allargamento delle lenza agganciata alla pinza sarà…


Fisherman dimenticati: Seacraft e la carena a deadrise variabile

Ci sono barche che rimangono nella storia sottaciuta della nautica, che meriterebbero di essere raccontate e non solo bisbigliate. Perché si tratta di barche che, ancora oggi, avrebbero molto da insegnare a tanti natanti fatti con lo stampino, smussando gli angoli, a tutte quelle barche e barchette avendo a mente l’effetto scenico da un lato, l’economia di produzione dall’altro. Questo articolo è dedicato ad uno di quei nomi che mi hanno appassionato sin da bambino alla nautica da pesca sportiva d’oltreoceano, che mi hanno portato ad abbonarmi alle riviste di barche da pesca americane e che mi hanno spinto a scrivere i miei libri, primo fra tutti Fisherman Americani. Seacraft Boats nasceva nei primi anni ’60 per opera e genio di Carl Moesly, inventore della carena che l’ha resa famosa. La carena Seacraft, denominata V.D.H. (Variable Deadrise Hull) si può concettualmente intendere come tre scafi impilati uno nell’altro, dei quali il più esterno è quello con diedri più ampi, il più interno, quello con la V più accentuata. Ne risultano una coppia di step longitudinali incassati per lato il che crea, all’aumentare della velocità, cuscini di aria che sollevano la carena e ne riducono fortemente l’attrito con l’acqua. I vantaggi sono: Angoli di entrata e di uscita importanti, (nell’ordine dei 70° a prua e da 20° a 24° a poppa, in base ai modelli) Consumi sensibilmente più bassi rispetto a carene a V profonda con analogo angolo di deadrise poppiero. Ma le peculiarità non si fermano solo sul piano progettuale della carena. Tutto ciò che serve ad un pescasportivo c’è a bordo di un Seacraft. Una barca che è anche un pezzo di storia del fisherman americano. . Seacraft è famosa per la 100% handlaid construction: scafo e coperta sono entrambi costruiti in laminato pieno di vetroresina biassiale stratificata a mano,…