Per chi non avesse seguito la prima parte, è possibile leggerla CLICCANDO QUI.
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La trattativa fu agevolata dal fatto che sia il dealer che il cantiere Topaz volevano portare la prima barca in Europa. Una operazione spot del genere, a fronte di un margine di vendita sicuramente inferiore rispetto allo standard, sarebbe costata senz’altro meno di sostanziose campagne pubblicitarie e trasporto di una barca da destinare a showroom e fiere in giro per l’Europa.
L’accordo fu siglato il 24 dicembre del 2003 (chi se lo scorda!) con l’accordo inter partes che prevedeva di mettere a disposizione del dealer la barca per esporla al successivo Salone Nautico di Genova.
La configurazione fu il frutto di una serie di fattori, non ultimo quello di poter utilizzare questa barca dalla vocazione nettamente tecnica, anche per occasionali vacanze con la famiglia. Infatti, in beffa della tradizione del fisherman americano, scegliemmo di far installare una plancetta di poppa di dimensioni non esagerate per non intralciare le attività prevalenti che quella barca avrebbe visto svolgere a bordo: la pesca, ovviamente.
Feci modificare la dinette in modo da avere una cuccetta pullman aggiuntiva. L’elettronica di bordo (radar, gps cartografico, fishfinder doppia frequenza) era tutta su base Furuno, della serie NavNet con 3 display, tutti master, in modo da avere ridondanza in caso di avaria di uno o due display. I tre monitor erano collegati tramite router in rete, in modo da poter scambiare dati di navigazione e waypoints da uno all’altro. Il pilota automatico dapprima non fu previsto, ma il dealer lo installò a sue spese come ricompensa dell’aver rinunciato agli unici 15 giorni in cui qui alla fossa di Bari si pescano le alalunghe… per consentirgli di esibire il Madeira II al Salone di Genova, appunto.
La scelta per l’Hard-Top anziché la Tuna Tower non fu casuale: per evitare quanto possibile di inficiare il rollio dello scafo ed anche per ridurre le spese di manutenzione, rinunciammo ad una seconda guida che non sarebbe stata usata che per qualche foto ma che non avrebbe avuto effettiva utilità qui nel basso Adriatico. Feci, però, predisporre cablaggi e rinvii di timoneria e controllo dei motori sotto una delle falchette, in modo tale da poter essere completata in seguito, semmai mi fosse venuto il capriccio di avere una torre in testa!
Dopo circa un mese dall’ordine e dal versamento dell’acconto, arrivò la prima testimonianza che il Madeira II stava prendendo forma…
Mi colpì subito il mascone potente, massiccio, a confronto con le persone nella foto. Era davvero come me lo raccontavano, questo Topaz 32…
Dopo altre quattro settimane mi arrivavano le prime foto della barca assemblata, con in bella mostra la scritta verde/oro “MADEIRA II”:
La barca prendeva forma settimana dopo settimana, campione dopo campione, sia per la scelta della scritta sullo specchio di poppa che per le tappezzerie interne, fino a che sarebbero passati i sei mesi previsti per la partenza da Berlin, in New Jersey, alla volta di Livorno. Ci fu un ritardo di circa due settimane che porto la consegna al 3 luglio del 2004. Il ritardo fu imputato alla plancetta di poppa, aggiunta in corso d’opera su insistenza di mio padre, anche se avrei amato lo specchio dritto con due gradini sfalsati, come sui fisherman “estremi” d’oltreoceano. ma per venire incontro ad esigenze di comfort e cortesia nei confronti delle signore, mi portai a ragione e mi convinsi. Dopotutto, la plancetta così come fu disegnata dalla Topaz non era così invasiva ed ampia da provocare inestetismi od ostacolare l’azione di pesca, quindi poco male.
Ciò che io, mio padre, mio zio ed il marinaio con cui poi avrei trasferito la barca da lì al porto di Bari-Santo Spirito provammo quando vedemmo per la prima volta il Madeira II attenderci all’ormeggio del pontile a Porto Santo Stefano, lo ricordo ancora oggi vividamente, ed è stata la sensazione che mi ha spinto a scrivere il libro Fisherman Americani, quasi a volermi intimamente auspicare, scrivendo le mie esperienze, che tutti i pescasportivi e diportisti, prima o poi, possano provare l’emozione di ritirare la propria barca da pesca “definitiva” commissionata da zero; un sogno che, nel cassetto da tanti anni, si materializza davanti ad occhi che vedono ben più di un natante in vetroresina, ma un sogno materializzato, foriero di molti altri da vivere a bordo.
Quando uscimmo a provarla, era chiaro che avrei dovuto abituarmi ai movimenti di un “bisonte” di 12 tonnellate, che si sentivano tutte soprattutto quando il tagliamare incrociava un’onda di qualche scia di barca in transito: era piantata in acqua, nonostante la potenza esuberante per una barca di 32 piedi. A 9,9 nodi si era già in planata, a filo di gas, ed i 280Nm di coppia dei Caterpillar erano pronti a far schizzare in avanti lo scafo alla minima pressione sulle manette elettroniche Glendinning EEC2001 sincronizzate. Ovunque camminavo, toccavo, aprivo, tutto era sovradimensionato e luccicante.
I sei portacanne Gemlux bottom locked , che fino ad allora avevo visto sulle riviste americane e sulle falchette dei Buddy Davis, al tatto trasudavano eccellenza.
Le falchette larghissime, i trincarini bassi sull’acqua al giardinetto, bombati per rialzarli verso il centro dello specchio di poppa, erano studiati per agevolare il tag o la raffiatura delle prede e per offrire il punto di appoggio migliore alle cosce dell’angler in combattimento. I cockpit bolsters erano super imbottiti, quasi “ciccioni” e trapuntati come i divani in cuoio in stile chester! Sugli angoli dei trincarini c’erano anche le liste paracima per l’ancoraggio alla francese… Questi americani erano proprio una spanna sopra, non c’è che dire.
Gli interni profumavano di legno, di tessuto, di ben fatto. Nel suo piccolo c’era tutto – e super rifinito. La tv al plasma ed il microonde, che mai usammo così come la toilette VacuFlush, l’aria condizionata potentissima, degna di una cella da macelleria se non lo si regolava con dovizia…
Il Maderia II era tutto da studiare, da capire -ci avrei poi messo cinque anni abbondanti per impararne tutti i suoi impianti, il posizionamento di varie pompe ed accessori meccanici ed elettrici, di capirne i suoi pregi e difetti (ogni barca ne ha, diffidate da chi vuol vendervi l’impossibile!).
Difetti, appunto: il Madeira II li aveva, ma io li avevo imparati e li ho persino amati, perché con la barca dei propri sogni ci si litiga, ci si rinchiude dentro durante le giornate storte, ci si soffre insieme e si gode di sensazioni ed emozioni rare, che ogni uomo di mare dovrebbe prima o poi nella vita provare.
Paradossalmente, ancor più che nel mio libro principe, “Fisherman Americani”, del Madeira II ce n’è nel libro “Le 11 Buone Ragioni per NON Comprare una Barca (ed una per farlo)”. Se riuscirete a leggere questo libro fino alla fine, sarete ufficialmente a bordo dell’esperienza delle esperienze nautiche: seguire la costruzione della barca dei vostri sogni, qualsiasi vocazione e forma essa abbia!
Buon mare e buona lettura,
Benedetto Rutigliano
Autore di Fisherman Americani
Autore di“Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)”
Autore di“La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBook
Scrittore per la rivista Pesca in Mare
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