Il Madeira II è stato, per me, il punto di arrivo di una gavetta fatta di acquisti avventati, errori, prese di coscienza rispetto a ciò che fosse meglio o peggio per il mio modo di navigare ed intendere il mare, di sapere gestire le gioie ed i dolori della proprietà di una barca.
Il Madeira II è stata anche la molla che mi ha spinto ad impegnarmi in questa attività e nella scrittura dei miei libri.
In famiglia, come già raccontato nel mio libro Fisherman Americani, ha sempre aleggiato la passione per la pesca sportiva dalla barca, per cui un fisherman puro non sarebbe stato che una naturale conseguenza di anni di lavoro della famiglia e di sogni (nautici) nel cassetto.
La scelta fu il risultato di una lunga cernita basata su spazi esterni ed interni, qualità costruttiva, assistenza post vendita in loco, facilità e qualità della comunicazione con il dealer e con il costruttore.
Non avevamo, però, calcolato il fattore “novità”: il caso in cui, cioè, un nuovo brand avesse la volontà di entrare in Europa non essendoci mai stata.
Al ventaglio di scelte, che allora prevedeva Cabo Yachts, Albemarle e Tiara Yachts, si aggiunse il brand Topaz.
CHIEDO PERDONO PER LA SCARSA QUALITÀ DEL MATERIALE FOTOGRAFICO DI QUESTO ARTICOLO E DI QUELLO CHE SEGUIRÀ, POICHÉ ESTRAPOLATO DA MATERIALE CARTACEO ALTRETTANTO… SGRANATO! L’ARTIGIANALITÀ DEL PRODOTTO SI VEDEVA ANCHE DALLE BROCHURE NON PROPRIAMENTE FRUTTO DI LAVORO DI MARKETING SPINTO… 😀
Topaz io lo avevo visto solo sulle riviste di nautica americane alle quali ero abbonato, ma non ne avevo mai toccata né vista una dal vivo. Sapevo solo che era la scelta di molti charter di pesca d’altura, che nelle classifiche dei fishing tournaments era quasi sempre presente un Topaz, che fosse tra i gladiatori dell’express fisherman ma… il tutto era un “sentito dire”.
Come avventurarsi in una spesa di certo non da poco, a distanza di 4000km e con l’intermediazione di un dealer anch’egli desideroso di portare il primo Topaz in Italia?
Con fiducia, passione ed un pizzico di incoscienza…
C’è da dire che le linee di quel Topaz 32 Express erano il surrogato di come fin da ragazzino disegnavo le barche su un foglio di carta durante l’ora di religione a scuola : sapevo che i fisherman americani doveva avere la prua altissima, quindi tracciavo una linea che andava abbassandosi digradando dolcemente da sinistra a destra. Era proprio la linea di cavallino del Topaz 32!
Poi era larga, larghissima: era una sorta di piattaforma (ecco perché gli americani chiamano queste barche “fishing platform”, pensavo…) lunga 9,78m e larga 3,75m. Aveva un pescaggio importante, quasi 1 metro! Doveva significare che avesse una V molto profonda da prua a poppa. Su questo indagai e appresi che aveva un angolo di entrata di 70° fino ad una deadrise di poppa di 18°. I numeri erano affascinanti già così, su carta!
E poi, la costruzione: le concorrenti abbinavano il classico laminato pieno per lo scafo al sandwich con anima in balsa o coremat per la coperta; il Topaz 32 era tutto in laminato pieno: una corazzata, insomma.
L’abbassamento del baricentro, che nelle altre costruzioni era affidato al mix laminato pieno/sandwich, qui era ottenuto per differenza di stratificazioni: undici per lo scafo (tutto, dalla chiglia alla linea di bottazzo); sette per la coperta. Solo stuoie Stitchmat 2415 biassiali, un carro armato del mare, ed un peso massimo: 9299 kg per il solo scafo appena uscito dallo stampo.
A barca finita, con la motorizzazione che poi scegliemmo (2 Caterpillar 3126B da 450hp ciascuno) il peso sfiorava i 12.000kg.
In mare, ovviamente, quegli angoli di carena e quei pesi, si avvertivano tutti: con un po’ di moto ondoso, bastava accelerare per appiattire quella prua altissima, per far lavorare il tagliamare al meglio e fendere l’acqua come fosse burro.
L’impianto di massa era concepito in modo da semplificare al massimo e rendere immediata la sua manutenzione: un unico zinco, incassato ed a filo dello specchio di poppa, era collegato ad una bonding plate asservita a tutti gli elementi metallici che necessitavano di protezione dalle correnti galvaniche.
A livello di impiantistica, per esempio, c’era molto da imparare per quanto riguarda la protezione dalle correnti galvaniche: un sistema di cavi di massa, fatti passare attraverso delle canaline ricavate nelle strutture di rinforzo dello scafo ed opportunamente fascettati e sigillati, congiungevano tutti gli elementi metallici immersi e non, ad una bonding plate o piastra di congiunzione a sua volta connessa tramite colonnine imbullonate. ad un unico grande zinco a piastra alloggiato in una nicchia incassata nello specchio di poppa. A fine di ogni stagione tutto ciò che era necessario fare era controllare i serraggi sulla bonding plate e sostituire lo zinco a poppa.
Sia i flaps che gli assi e le eliche erano esenti da anodi, poiché tutti collegati a questo unico anodo sacrificale.
Ma le caratteristiche che mi fecero propendere per il Topaz sono molte altre e, soprattutto, l’esperienza che ne succedette, quella dell’ordine e della costruzione del Madeira II, meritano l’approfondimento in un altro articolo: il prossimo!
Vi auguro buona lettura ed a presto con il prosieguo della mia esperienza con il Madeira II.
P.S.: se intendete intraprendere un investimento di questo tipo, vi invito a parlarne con me, data la mia personale esperienza nel campo.
Una consulenza telefonica può salvare i vostri risparmi ed indirizzarvi verso una scelta sensata, evitandovi gli errori che ho già compiuto io per voi…
Vi ricordo, infine, che nel costo di copertina del libro Fisherman Americani è inclusa una consulenza telefonica.
Benedetto Rutigliano
Autore di Fisherman Americani
Autore di“Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)”
Autore di“La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBook
Scrittore per la rivista Pesca in Mare
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