Barche e sventure: da una banalità ad un disastro mancato.
Ero in traina con famiglia al seguito, in un pomeriggio caldo di luglio. Poco più di cinque metri di fondale, l’uscita era per lo più stata fatta per far prendere la tintarella alle donne di bordo, ma per un pescasportivo filare due lenze in acqua a tempo perso è un attimo. La brezza di levante di colpo cominciava a ruotare in senso antiorario ed a dare sferzate isolate da nord. Il mare cominciava a schiumare di creste appena visibili e la barca aumentava il suo beccheggio, al che decidemmo di dar prua verso il porto, recuperando le lenze ed aumentando prudenzialmente l’andatura, anche perché un membro dell’equipaggio era noto per patire il mal di mare. Di lì a poco, entrambi i motori da 2200 rpm si portarono a 700 rpm, e gli invertitori passarono in folle. Le manette non rispondevano e la barca cominciava inevitabilmente ad assecondare il moto ondoso, ponendosi al traverso ed avvicinandosi progressivamente verso terra. Inevitabile lo sbigottimento del momento a bordo, assieme ad un po’ di confusione, mia e di mio padre in primis. Non poteva ricondursi il motivo di tale comportamento ad un evento in particolare, giacché non era la prima volta che il Madeira II affrontava una maretta del genere. Non potendo rimanere inattivi e dovendo cominciare a ragionare con lucidità, la prima cosa che facemmo fu ancorarci, sebbene il mare cominciasse a formarsi per bene e la prora beccheggiava ritardando la presa salda dell’ancora sul fondo, nonostante l’abbondante calumo. Una volta che la prua si rivolse a nord, sintomo che l’ancora aveva fatto la testa sul fondo, cominciai a vagliare le varie ipotesi, escludendo una panne idraulica (che avrebbe dovuto essere simultanea, per giunta!): tracce d’olio nella sala macchina non ve n’erano, tutti i relais elettrici ed i magnetotermici della centralina delle manette…