Evinrude chiude i battenti

Un triste dejavu che ci riporta al 2000, quando Evinrude, sotto egida OMC, fu sull’orlo della bancarotta. Poi arrivò Bombardier, che ne rilevò marchi e strutture, e riconsegnò Evinrude a nuova vita, sempre perseguendo la tecnologia dei due tempi, in antagonismo con un mercato che spingeva sempre più verso il quattro. “The biggest challenge is we’re the different guys” Questo disse Nando Zucchi,  all’epoca vicepresidente di BRP, quando presentò i progetti che, in un’unica linea di sviluppo, passò dai primi Ficht, ai Ficht-Ram, ai D.I. fino agli E-Tec ed agli ultimi E-Tec G2, davvero prodigiosi per coppia motrice e rapporto consumi/prestazioni. Ole Evinrude nel 1909 INVENTO’ il motore marino fuoribordo. Dopo venti anni, la fusione con Johnson Motors, che ha portato il marchio ed il know-how Evinrude, tra vicissitudini societarie e finanziarie positive e negative, ai giorni nostri. Evinrude paga lo scotto di non seguire il gregge, di rincorrere e ripercorrere due sogni: quello di essere leader in una nicchia ben definita; quello di dimostrare, normativa dopo normativa, di poter rispettare ed eccedere i requisiti antinquinamento sempre più stringenti a livello mondiale. In questo ci è riuscita alla grande, ma spesso, quando la passione prevale sul freddo denaro, ci si lascia le penne. A mio parere la tecnologia G2 è troppo avanti con i tempi, pur essendo figlia di un’architettura di motore ormai abbandonata. Un motore a due tempi che entro gli 800 giri/min non consuma olio, che mantiene regimi di 550 giri/min senza il minimo ingolfamento tipico dei vecchi 2T, che richiede intervalli di manutenzione più che doppi rispetto ai moderni 4T, ha costi di acquisto praticamente livellati a questi ultimi, rende la scelta del diportista spesso istintiva ed automatica per il quattro tempi. Tuttavia, come a più riprese spiegato sul libro Fisherman Americani, nonché sugli articoli di sito…


La scia perfetta: fisherman che vai, scia che trovi.

Una scia può raccontare molto di una barca. Nella scia, infatti, si concentrano i risultati di: assetto ripartizione dei pesi inclinazione dell’asse di spinta correttezza dell’installazione di eventuali appendici L’assetto di una imbarcazione può essere congenitamente influenzato, oppure corretto a posteriori. Uso analizzare la scia di una barca, soprattutto se fisherman, sia in dislocamento (velocità di traina veloce, sui 7 nodi circa), sia a velocità di crociera. E’ molto importante avere in scia settori di acqua chiara e senza turbolenze, canali preziosi che potremmo sfruttare per filare esche di superficie che, a loro volta, generano una propria scia, come ad esempio bubble-jet o kona, finanche i teaser (per chi ne fa uso). Non a caso, vige la regola della “quarta onda” nel caso di utilizzo delle esche appena citate, e la necessità è quella di trovare proprio l’acqua limpida, che normalmente si trova dopo la quarta onda di dislocamento. Se la scia è pulita, la si ritroverà ovviamente prima. Per questi argomenti è vivamente consigliata la lettura di Fisherman Americani e de La Barca da Pesca Perfetta Ebbene, una scia limpida in traina è il risultato di: profondità delle eliche dal pelo d’acqua, nonché del loro diametro e passo: più importante è l’elica, meno giri al minuto dovrà compiere per muovere lo scafo ad una data velocità. Non a caso i fisherman che offrono scie più indicate per la traina -soprattutto quella d’altura- sono quelli motorizzati entrobordo in linea d’asse, dove le eliche sono di dimensioni più grandi e rispetto ad un qualsiasi fuoribordo, per via della maggior coppia motrice dei turbodiesel rispetto a questi. Ma principalmente la pulizia della scia è, in questo caso, imputabile alla profondità alla quale tali eliche evolvono, profondità -a parità di scafo- quasi di un buon 30% maggiore rispetto all’asse portaelica di un qualsiasi…


Si ritorna in mare, timidamente

Questa è la sensazione che ho avuto un paio di settimane fa, quando ho per la prima volta dopo la quarantena mollato gli ormeggi del BabyMadeira, ferma da quasi due mesi senza nemmeno la possibilità di salirvi a bordo per le normali manutenzioni. Ciò che scrivevo durante la stesura de “Le 11 Buone Ragioni”, lo ripetevo tra me e me come un mantra al contrario. Chi me lo fa fare? Per fortuna il pacioso V8 è partito senza esitazioni. Varcato il “palo verde” del porto di Santo Spirito, il clima era quasi post-bellico: un tripudio di barche, ma silenzio totale. Anche tra vicini di ancora, non una parola, ci si guardava attorno mentre le vedette di Guarda Costiera e Capitaneria di Porto perlustravano il fazzoletto di mare prospiciente il litorale barese. L’aura di incertezza generata dall’alternarsi di decreti in poco tempo, seguiti da misure di iniziativa regionale e perfino provinciale creava quella sorta di sensazione di esser veniali peccatori in cerca di redenzione. Ma d’altronde, chi proviene dal mare e nel mare trova ristoro e medicamento, ben sopporta questo genere di fardelli pur di toccarlo nuovamente dopo settimane di clausura forzata. I risultati per me sono tutti riassumibili in un solo termine: CAPPOTTO. Tre uscite con due tecniche di pesca, esche da passerella, lenze e terminali nuovi di zecca. Pazienza, e già… il pescatore si nutre di pane e pazienza, quindi poco male, siamo allenati anche per questo. Piuttosto, pensiamo a ciò che verrà: la stagione del tonno rosso, salve modifiche dell’ultima ora, dovrebbe partire, come sempre, il 15 giugno, per terminare quando la leggermente più ridicola quota (rispetto allo scorso anno) sancita dal decreto MIPAAF del 08/05/2020 per i pescasportivi, sarà saturata. SCARICA QUI IL DECRETO Nonostante tutto, noi ci saremo, spenderemo risparmi per alimentare le sempre più bistrattate filiere…


Fuoribordo e pesi a sbalzo: un fatto e qualche riflessione

Colgo la palla al balzo, utilizzando lo spiacevole evento accaduto il 2 maggio poco a largo dell’ Oregon Inlet nei pressi di Wanchese, NC, per fare qualche riflessione per iscritto sulle moderne costruzioni fuoribordo, che ormai dilagano nei cantiere di tutto il mondo, e non sol negli Stati Uniti d’America. Il fatto: una barca di blasone, che per delicatezza non cito, perde i suoi due fuoribordo in mare a seguito di un sobbalzo su di un’onda molto grande. La perdita dei fuoribordo è stata dovuta al distaccamento dell’unghia del bracket, sui quali gli stessi erano aggraffati. La dinamica non è ancora chiara, tuttavia la barca è stata recuperata integra: l’unghia si è distaccata nettamente senza strappare la paratia del bracket, per cui non vi è stata intrusione di acqua al suo interno. Le ipotesi: l’unghia era troppo sviluppata in altezza rispetto al piano del bracket ed il peso dei due motori ha potuto fare leva in modo da distaccarla; l’unghia non era strutturale al bracket e/o il suo incollaggio/imbulllonatura è risultata difettosa; lesioni pregresse, a seguito di movimentazione su carrello impropria (ad es. scossoni bruschi su strada che ne hanno lesionato la sua integrità) Naturalmente la mia è una speculazione, ma a fin di bene, per così dire: quando restiamo ammaliati da grandi potenze su piccoli scafi, abbiamo il dovere morale di FARCI IMPRESSIONARE dal peso a sbalzo di due motori quattro tempi, che può agevolmente superare i 600 kg. Con questo non voglio in alcun modo intendere che, con mare grosso, una barca fuoribordo sia necessariamente destinata a perdere i suoi motori, ma quantomeno sensibilizzare tutti noi (mi ci metto anch’io) quando acquistiamo una barca fuoribordo, soprattutto se usata e con diverse stagioni alle spalle, ed intendiamo RIMOTORIZZARLA. A tal proposito, ho scritto tempo fa un articolo che è…


Stabilizzatori: articolo su Pesca in Mare di aprile

Cari amici, come ormai di consueto, anche nel numero di Aprile2020 è presente il mio contributo alla rivista cartacea Pesca in Mare. Nella rubrica Pesca&Nautica, questo mese parlo di stabilizzatori: GUARDA COME DONDOLO… O FORSE NO? Qualora vi foste persi il numero di Pesca in Mare di Aprile 2020, vi rimetto il file pdf consultabile gratuitamente cliccando qui sotto: SCARICA QUI L’INTERO ARTICOLO   Non dimenticate di leggere il libro Fisherman Americani – il Libro delle Barche per la Pesca Sportiva, l’unico libro con consulenza nautica inclusa! Da oggi il libro è disponibile anche in versione eBook (CLICCA QUI), ad € 0,00 con KindleUnlimited. A presto e Buon Mare, Benedetto Rutigliano Autore di Fisherman Americani (anche eBook) Autore di “Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)” Autore di “La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBook Scrittore per la rivista Pesca in Mare FISHERMANAMERICANI Podcast


Grady White 270: l’incompresa, atto II

Ecco l’altra barca di casa Grady White (abbiamo visto la prima QUI) che il mercato ha recepito in maniera non chiara, sin dal momento del suo lancio. Tra l’altro la serie Islander ha avuto una carriera abbastanza lunga, cominciata con il 268 del 1995 e terminata con il 270, appunto, nel 2005. Perché incompresa? Per due motivi fondamentali: la larghezza, di 2,59m a fronte di una lunghezza f.t. di quasi nove metri, e la potenza applicabile di  ben 500cv. Con tali numeri la “mission” di questo walkaround non è ben chiara considerato che, in teoria, uno scafo così stretto dovrebbe potersi muovere agevolmente anche con un singolo motore da 250cv (motorizzazione d’ingresso che peraltro la casa madre prevedeva). Ma perché G.W. l’ha omologata per 500cv? Forse perché, nonostante la carena filante, erano comunque necessari molti cavalli per muoverla? Il dubbio che si trattasse di una barca sulla carta poco dispendiosa a livello di potenza applicata e di consumi di carburante ha fatto sì che si vendessero molti meno esemplari di 270 Islander rispetto al più costoso 282 Sailfish, che però con quasi tre metri di baglio massimo, aveva proporzioni ed abitabilità ben maggiori rispetto al 270. Di fatto, la tecnologia e robustezza costruttive di GW hanno permesso di caricare sullo specchio di poppa quella potenza, comportando consumi tra l’altro ben inferiori rispetto alla concorrenza più… larga, e meno carico ai propulsori. Cionondimeno l’Islander è durato sui listini G.W. per dieci anni, subendo anche un restyling molto significativo a cavallo degli anni 2000, adottando il family feeling degli altri fratelli maggiori (il 282 appunto, ed il Marlin 300). Di fatto, l’Islander è stata, invece, una barca intelligente: consentiva la carrellabilità senza particolari permessi o scorte, rientrando nei limiti di rimorchio USA (2.59m). In Europa le cose cambiano da questo punto di…


Grady White 265 Express: l’incompresa

Oggi scrivo di uno dei due modelli Grady White a mio parere non molto capiti dal mercato, almeno al tempo in cui vennero lanciati. Eppure personalmente ci ho sempre visto grosse potenzialità e validi motivi per acquistarli. I modelli sono il 265 ed il 270, ed oggi mi soffermerò sul primo. Del marchio Grady White ho scritto diverse volte nel mio blog (LEGGI QUI e QUI), oltre ad essere presente anche nel mio libro Fisherman Americani.  Il 265 Express è stato prodotto dal 2000 al 2005 compreso ed è un modello con caratteristiche uniche: baglio generoso (sfiora i tre metri) a fronte di una lunghezza che fa rientrare la barca tra i fisherman compatti (7,72 metri di lunghezza scafo); grandi potenze applicabili (fino a 500cv). La connotazione fishing è chiara in pozzetto, dove troviamo un’area di calpestio perfettamente quadrata di 5.5 metri quadri completamente sgombra da intralci, ma completa di tutto. Ciò che faceva storcere il naso ai più era la paratia abbattibile di poppa, che di fatto non consentiva di ricavare una seduta a scomparsa o di applicarvi una vasca del vivo. La suddetta paratia era stata progettata in tal guisa per consentire il sollevamento completo dei gambi dei fuoribordo dal pelo d’acqua e quindi proteggerli dai danni delle correnti galvaniche. Ricordiamo che il 265 Express era uno scafo con specchio di poppa cd. “aperto”, e dunque privo di bracket. Vasche che dopotutto troviamo un po’ ovunque, meno che a pagliolo, per via della schiumatura a cellula chiusa delle intercapedini dello scafo e del grande serbatoio di benzina (980 litri) che di fatto ingombra quasi due terzi del volume sottostante il pozzetto stesso. Dicevamo a proposito delle vasche: ne troviamo due ai giardinetti, estraibili per dare accesso ad impianti e batterie; una molto grande (quasi 300 litri) per il…


Fisherman… australiani: Caribbean 420

La mia croce e virtù è che mi annoio facilmente se son costretto a scrivere di argomenti (e barche) già pluricelebrate da altre testate. Per questo vado spesso a caccia di barche poco “parlate” e conosciute, anche perché serve a capire come il settore dei fisherman venga affrontato e sviluppato in altre parti del mondo che non siano necessariamente gli Stati Uniti d’America. Ecco perché, stavolta, sono approdato in Australia, per rispolverare la memoria di barche che mi hanno sempre attratto per via della loro “cuginanza” con certi Bertram di altri tempi… Oggi scrivo di Caribbean, un marchio storico di proprietà della International Marine, che da oltre 50 anni costruisce barche in lamianto pieno stratificato rigorosamente a mano dalle velleità fortemente sportfishing. L’ultimo nato di casa Caribbean , il 420 Express, è un sedan express, una di quelle categorie che stanno prendendo sempre più piede nei cataloghi dei princiapli costruttori (Viking, Cabo, Hatteras e molti custom builders), poiché costituiscono un ottimo compromesso tra pesca e crociera, garantendo un quadrato perfettamente protetto dalle intemperie ed allo stesso tempo un’ottima comunicazione tra postazione di comando e pozzetto. In pozzetto non manca nulla: dalla vasca del vivo integrata nello specchio di poppa alle larghe falchette adatte ad ospitare almeno quattro portacanne ad incasso laterali, più due o tre sullo specchio, gavone sottochiave per canne e raffi ricavati sotto i trincarini, un’ampia vasca del pescato a pagliolo con coibentazione e postazione di preparazione delle esche a ridosso dei due gradini che conducono al ponte di guida. In posizione contrapposta è stato ricavato un grazioso divano mezzanino per chi non segua attivamente l’azione di pesca ma voglia assistervi senza intralciarne le operazioni. Costruttivamente Caribbean si rifà alla tradizione, adottando la soluzione del laminato pieno stratificato a mano per lo scafo e sanwich di coremat per…


Accessori insospettabilmente utili

Spulciando tra foto di riviste d’oltreoceano e di fisherman all’ormeggio vediamo spesso accessori dei quali non ci spieghiamo la reale utilità, che potrebbero sembrare oggetti di mero sfoggio. Oggi parlerò di pochi oggetti che, invece, ho avuto modo di sentire necessari a bordo della mia barca. Visto che siamo in tempi di #quarantena e di ormeggio forzato, comincio col parlare di un accessorio che riguarda l’alimentazione elettrica: il reggicavo da banchina Si tratta di un supporto con crociera inferiore per poter essere innestato in un qualsiasi portacanna da incasso, con un passante aperto al capo superiore, che consente di reggere, appunto, cavi di alimentazione di caricabatterie e l’eventuale tubo per l’alimentazione dell’acqua dolce da banchina, senza che restino in ammollo in acqua e si coprano di alghe ed altre concrezioni. Il fusto del power cable holderè angolato per poter essere adattato all’inclinazione del portacanne più vicino al giardinetto, dove presumibilmente lo posizionereste per far da “ponte” alla presa della colonnina del pontile. Altro accessorio non sempre, però, applicabile, è: il parabordo da pontile. Infatti servirebbe avere l’autorizzazione dalla direzione del pontile stesso poiché prevede il montaggio tramite imbullonatura alla traversa del pontile, in modo da poterlo applicare  in corrispondenza della propria poppa. Serve soprattutto a chi ha una barca con motorizzazione fuoribordo e questa è di stanza in un porto soggetto a risacche importanti. L’ultimo accessorio che mi viene in mente è il Boat Loop di cui però avevo già scritto un paio d’anni fa in questo articolo: CLICCA QUI Si tratta di un mezzo marinaio “evoluto” provvisto di una gassa in materiale elastico che consente di aggrapparsi alla bitta del pontile facendo trazione su di essa per inserirsi nel posto barca in maniera precisa e non pericolosa per le barche adiacenti. Siccome non tutti hanno il talento dei cow…


L’amore è cieco: Eastern 27 Seaferer

Da qualche giorno mi sto aggiornando sugli ultimi ritrovati nel segmento “downeast”, e mi ci son gettato letteralmente a capofitto. Questa categoria non è presente nel libro, anche perché non è categorizzabile come fisherman in senso stretto, sebbene i downeast discendano direttamente dalle barche da lavoro e da pesca professionale! “Prima avevate la mia curiosità; ora avete la mia attenzione!” come disse Leonardo DiCaprio nelle vesti di Calvin Candie in Django Unchained, rivolgendosi al Dr Schulze. La mia curiosità prima, e la mia attenzione poi, si sono riversate su una barca che a mio parere avrebbe molti consensi qui in Italia, per la duttilità di utilizzo e per la concezione che accarezza i desideri dei più avvezzi alla tradizione marinara. Eastern 27 Seaferer E’ un downeast in piena regola: grande parabrezza in cristallo, tuga in rilievo, oblò e dritto di prua poco inclinato; assetto in navigazione tipico delle carene semiplananti con deriva in chiglia, ma un pozzetto che fa accendere più di una lampadina in testa. In effetti, potrebbe essere facilmente interpretato come un express fisherman, dotandolo di hardtop e portacanne. Ciò che mi ha attratto più di tutto, di primo acchito, è stata la scelta della motorizzazione fuoribordo in luogo della tradizionale in linea d’asse. Il che è un netto vantaggio per quanto concerne il contenimento dei costi di manutenzione, il comfort a bordo e la spaziosità interna. Ed è proprio qui che c’è da stupirsi: quattro posti letto veri a bordo di un open di ventisette piedi scarsi è davvero difficile trovarli, ancor meno su un downeast. Procedendo per ordine, il pozzetto: qui c’è tutto ciò che ai pescasportivi serva per svolgere qualsiasi genere di pesca: dal drifting, per via della tuna door e la plancetta integrata nel bracket quasi a filo di pelo d’acqua, ai portacanne ad incasso,…