(NON) basta che sia americana! Repetita iuvant.
Oggigiorno si assiste ad una sopravvalutazione del prodotto “barca” made in U.S.A. spesso ingiustificata. Parlo ovviamente del mercato italiano, ricco di barche spesso passate di mano più e più volte. Il che non è necessariamente un male, se i proprietari che vi si sono avvicendati erano accomunati dalla stessa passione per il mare e dal rispetto per la propria barca. Il punto, semmai, è che una barca che ha avuto tre o quattro proprietari necessita della ricostruzione di tre o quattro storie, il che spesso non è possibile, per irreperibilità degli stessi o per altri motivi. Il nostro mercato, tuttavia, a causa del tasso di cambio sempre più sfavorevole che rende antieconomiche le importazioni di barche di budget medio-basso, stenta ad arricchirsi di barche “fresche”, e va a finire che, sfogliando gli annunci dei portali di vendita, abbiamo davanti agli occhi sempre le solite offerte. Questo ha dato adito a molti proprietari in procinto di cambiar barca (ma evidentemente non così motivati a farlo…), di fare cartello sui prezzi, innalzandone l’asticella e rendendo le loro stesse barche praticamente inavvicinabili dai potenziali interessati. Sembra quasi che basti avere il logo di un cantiere americano sul giardinetto per sentirsi in diritto di chiedere cifre al di là della ragionevolezza. D’accordo, è vero che il blasone è un valore aggiunto al prodotto… AGGIUNTO, appunto! Questo significa che, se la barca versa in condizioni critiche o comunque di precaria conservazione e manutenzione, per quanto di buon nome possa essere il suo costruttore, il valore di partenza è irrimediabilmente al di sotto di ogni apprezzamento dato dal brand. Come più volte scritto nei miei articoli passati e come continuerò instancabilmente a ripetere sia per iscritto sia a voce nelle mie consulenze, il prezzo, nella nautica, non lo fa un listino Eurotax, ma la storia stessa della…