barche da pesca

Perché molti fisherman sono spesso privi di accessori che daremmo per scontati su qualsiasi altra barca da diporto?

Stavolta cerco di spiegare in forma di domanda e risposta l’assenza di dispositivi, parti od accessori altrimenti scontati e di serie su quasi ogni altra barca da diporto. D- Perché molti fisherman d’oltreoceano non hanno il verricello salpa ancora?  R- La ragione è nell’impiego di tali barche. I grandi sportfisherman commissionati per battute di pesca d’altura, dove le potenti correnti oceaniche ed i fondali proibitivi impedirebbero a qualsiasi ancora di raggiungere il fondale, rinunciano ad un accessorio tanto inutile quanto fonte di potenziali avarie, proprio perché sarebbe utilizzato molto meno che sporadicamente. Come da citazione di Fisherman Americani- il Libro delle Barche per la Pesca Sportiva- , “ciò che non c’è non si rompe”! D- Perché molti fisherman convertible non hanno la guida interna? R- Perché un’apertura in coperta, quale è un parabrezza, è un punto di potenziale debolezza del manufatto! Per noi, che abbiamo a che fare con mari dalla potenza distruttiva ben lontana da quella degli oceani, può apparire un’ esagerazione, ma se immaginassimo di ritrovarci nel mezzo di una mareggiata imprevista con marosi che s’infrangono sulla tuga, tale soluzione potrebbe apparire alquanto sensata. Per gli americani ogni interruzione o taglio della stratificazione è un pregiudizio alla solidità strutturale ed alla IMPERMEABILITA’ dello scafo. D: Perché molti fisherman non hanno oblò sulle murate? R: Per lo stesso motivo che priva i convertible di guida interna! I masconi di una barca hanno una funzione ATTIVA, quella di deflettere l’acqua sollevata durante la navigazione e di non farla giungere in coperta. L’idea di dimenticare un oblò aperto o anche solo di far sì che venga colpito dai frangenti durante la navigazione con mare avverso, dovrebbe facilitare la comprensione della scelta da parte di diversi cantieri americani di lunga storia nella costruzione di fisherman d’altura. D- Perché alcuni express fisherman non hanno…


Barche da pesca più catturanti di altre: leggenda o verità?

Chi bazzica tra i forums d’oltreoceano avrà sicuramente letto, in qualche discussione, di “catchy boats” o barche catturanti. Di questo, tra l’altro, avevamo già fatto breve cenno con un articolo appositamente dedicato ai “dipinti in carena”, qualche mese fa. Tale assunto è supportato da ragioni tecniche o da semplice fortuna degli equipaggi che le utilizzano? Qui si aprirebbe una letteratura dai confini indefinibili, in quanto figlia più  di esperienze raccontate frammentariamente qui e lì, che di test orientati al suddetto scopo: progettare scafi in grado di attrarre più pesci rispetto ad altre barche. Abbiamo la possibilità, però, di fissare dei “paletti” oggettivi e inconfutabili, sulla scorta di rilevazioni effettuate in mare aperto: In primis, una scia pulita e chiara agevola la visibilità dei nostri artificiali; In secondo luogo, la posizione e l’orientamento degli scarichi dei motori genera risonanze che, sott’acqua, attraggono i grandi pelagici; E’ empiricamente provato che, in ragione del secondo punto, le motorizzazioni entrobordo siano più attrattive rispetto alle altre; Carene dal baglio generoso e con superfici “lisce” (prive, cioè, o dotate di pattini longitudinali poco pronunciati) sono più attrattive di altre. Cerchiamo ora di analizzare quanto riassunto nella scaletta di cui sopra. Sappiamo tutti che le esche artificiali in traina vanno posizionate laddove siano meglio visibili, quindi poco fuori dalla zona di turbolenza generata dalle eliche, sia in senso orizzontale che verticale. Ebbene, se la zona di turbolenza è estesa e disordinata, ed il baglio della barca ridotto, avremo ben poche fasce “chiare” entro cui rendere ben evidenti le nostre esche, teste piumate o kona o bubble jet essi siano. Dovremo, quindi, sconfinare nelle fasce di mare esterne alla scia dove, a meno che non abbiamo azzeccato la giornata di calma piatta, la superficie dell’acqua sarà crespa o comunque disturbata. L’alternativa sarà di posizionarle molto lontano da poppa,…


Quanti e quali portacanna servono davvero in barca? Facciamo due conti…

Mi capita sempre più spesso di incontrare falchette-gruviera, con sfilze di portacanne incassati a distanza non funzionale, perché magari troppo ravvicinati, o dove sarebbe troppo scomodo riporre le nostre canne. Oppure, coppie di portacanne sulla stesso trincarino con la medesima inclinazione. La sovrabbondanza di questi accessori a bordo pare faccia alzare l’asticella della considerazione del potenziale acquirente, quasi a voler urlare: “più ne ha, più è fisherman!” In fin dei conti, servono davvero così tanti fori su una coperta stratificata con cura dal costruttore? Quante canne utilizzate durante una battuta di pesca? 10? Può essere un numero anche maggiore, e sulla base di ciò facciamo i conti della serva, insieme, escludendo dalla lista i portacanne “posticci” di tipo regolabile od estraibili. Portacanne in pesca: A falchetta – 2 frontali diritti sullo specchio di poppa – 1 centrale se il baglio della barca lo permette, eventualmente asservibile al center rigger; – 4 sulle murate, di cui: due inclinati di 15° rispetto all’asse longitudinale; due inclinati di 30°. – ulteriori 2 sulle murate, se la lunghezza del pozzetto lo consente, inclinati di 45° ed asserviti agli eventuali divergenti. Portacanne a riposo: Rocket-launchers – 3-4 per lato sulle strutture dell’hard-top utilizzabili a riposo o per le canne collegate ai divergenti, se di lunghezza adeguata a supportare più di una lenza; – fino a 6-8, in base al baglio della barca ed alla struttura dell’hard-top, sulla sommità dello stesso; oltre ad altri verticali installabili in corrispondenza di mobili o sedute. a rastrelliera orizzontale lungo le murate, per 3-4 canne per murata. Ed aggiungerei anche una coppia di portacanne doppi da traina, tipo questi, però: CLICCA QUI Direi che ne abbiamo in abbondanza, vero? Ciò che mi lascia perplesso, in taluni casi di “isteria da portacanne”, è il posizionamento degli stessi ad altezze più che…


Come non farsi “pescare” dal fisherman sbagliato?

Argomento dai confini indefiniti, quello della scelta della propria barca, che si perde tra chiacchiere da bar e brochures sfavillanti. E questa è teoria. Per superare un esame, però, occorre anche la pratica. Di pratico, invero, il più delle volte c’è poco o nulla nelle fasi di scelta fai-da-te della barca. La barca è senza ombra di dubbio un oggetto anche emotivo, soprattutto se trattasi di un mezzo di carattere come un fisherman. Proprio il fattore emotivo, tuttavia, potrebbe essere una trappola che può indurvi a COMPRARE MALE. Soprattutto considerando che “la barca non è mai un buon investimento” (Cit. Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca -ed una per farlo-) Perché la prima preda di un fisherman non ha pinne, ma braccia e gambe… Siamo noi la prima preda imbarcata dalla nostra stessa barca. Tutto sta nel non farsi “pescare” da quella sbagliata per le nostre esigenze. Quando chiedo ad un cliente perché voglia quel determinato modello di barca, le risposte che non vorrei sentirmi riferire sono: “Perché è bellissima”; “Perché ha tutto”; “Perché è diesel” (sostituibile con “perché consuma poco”); “Perché ha X posti letto e il piano cottura in pozzetto”… ed altre risposte di questo tipo. Prese singolarmente, tali risposte costituiscono vere e proprie “bucce di banana” sulle quali scivolare verso l’acquisto errato. Prese in combinazione, invece, in aggiunta ad altri moltissimi fattori, esse creeranno il mix perfetto per avere nitido, davanti agli occhi, il profilo di BARCA PERFETTA (a proposito… c’è l’ eBook …) Designato il profilo corretto, lo si potrà sovrapporre alle offerte del mercato, per individuare le barche che meglio combacino con le caratteristiche del profilo. La verità è sempre nel mezzo: soppesare, cioè, ognuna delle caratteristiche che deve avere la vostra prossima barca, senza trascurarne nessuna a favore di un’altra. Nel corso delle mie consulenze,infatti, valuto ogni singolo elemento: sia ciò che serve, sia…


Striker Yachts: metalli nobili (da pesca sportiva)

Ci sono barche che hanno lasciato un segno sottile ma indelebile, una ruga sul volto della nautica specialistica. Ci sono cantieri che hanno rappresentato l’élite della nautica da diporto , con soluzioni costruttive e di layout a suo tempo rivoluzionarie. Uno di questi è Striker Yachts , di cui accenno brevemente in queste poche righe, nonostante il nome meriterebbe di scavare nel passato per ricostruirne i fasti ed i suoi sviluppi fino ad oggi, che è diventato un produttore di imbarcazioni custom, pur basate sui propri storici progetti, ovviamente aggiornati con i materiali che la migliore avanguardia navale oggi ci offre. Lo Striker 44 è, forse, il convertible sportfisherman più esclusivo e di nicchia del suo tempo. Ogni Striker è costruito in alluminio saldato, in modo da ottenere un manufatto praticamente monolitico, con una filosofia votata alla durata nel tempo ed alle lunghe permanenze in mare. La maestria nella costruzione porta questi oggetti molto particolari fino ai nostri giorni , la stragrande maggioranza dei quali ancora in onorevole servizio. Le carene sono semiplananti con un tagliamare molto profondo e variamente motorizzate, in base alle velleità velocistiche dell’armatore. Le particolari geometrie delle stesse consentono a questi scafi di raggiungere velocità di tutto rispetto, fino ai 28-30 nodi (in base alle motorizzazioni scelte dall’armatore), grazie ad un diedro che garantisce comunque una grande portanza, nonostante la connotazione da “trawler veloce” che il cantiere amava far indossare ai suoi modelli, quando configurati con motorizzazioni di ingresso . Si partiva da 2 motori Daf da 145cv, e negli anni si è giunti fino a 2 motori Parimenti, uno Striker è in grado di mantenere velocità di dislocamento in maniera ineccepibile e senza inficiare minimamente il comfort di bordo, garantendo grandi autonomie (uno Striker 44 imbarca ben 2900L di gasolio e ben 900L di acqua…


Grady White 208 Adventure: Piece of my heart <3

C’era una volta un Grady-White 208 Adventure, il mio 208. Avevo trovato l’annuncio nella penultima pagina della rivista Nautica , a nome di un grande importatore del marchio Grady White che aveva da poco cessato l’attività. – La barca era sotto cellophane, senza elettronica né motore. Era ben accessoriata però, dato che aveva l’hard top con le chiusure perimetrali, anch’esse imballate e riposte in cabina. Dopo una breve ma proficua trattativa, accordammo il prezzo e la facemmo consegnare presso il cantiere di zona che avrebbe installato il motore, un ruggente Evinrude 225cv Ficht-Ram D.I. nuovo, giusto 5cv meno della massima potenza applicabile su quello scafo . Installato il motore e testata la barca, notammo l’esuberanza del package, tant’è che mai abbiamo provato a darvi tutta manetta. L’erogazione di quei due tempi ad iniezione diretta non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei moderni quattro tempi, al paragone moscia e piatta. Ricordo la cura per i dettagli che Grady White riservò a questo suo walkaround entry level, paragonabile a quella delle sue ammiraglie. Notai in particolare, il foro di scolo del vano chiuso porta-strumenti, provvisto di boccola smussata e di cucchiaio per evitare anche il minimo ristagno di acqua! Nel pozzetto , nel suo piccolo, non mancava nulla: vasca del vivo con ricircolo, vasche del pescato coibentate, imbottiture perimetrali dei trincarini, persino il supporto porta-palla da affondatore (!), portacanne ad incasso e sull’hard-top, plancetta di poppa . Insomma, avevo tutto ciò che mi potesse permettere di ambire a grandi avventure di pesca , ed ora avevo acquistato il mio primo fisherman americano nuovo! Tutto ciò che toccavo era ricoperto di quel brillante e pastoso gelcoat color crema tipico di GW, il bottazzo era pieno e solido, perfettamente raccordato agli spigoli e le curvature in prossimità degli angoli conservavano la loro linearità e…


Cabo Yachts: storia di un gioiello della nautica

Si fa presto a dire “fisherman”. Basta un pozzetto decente, qualche portacanne qua e là, una vasca per il pescato e possiamo andare a pesca. MAGARI… …Ed in America sanno bene che non è affatto così. Siamo ormai abituati a prodotti altamente specialistici e generalmente molto ben equipaggiati, anche nelle fasce medio-basse della produzione statunitense, ed è per tale motivo che, quando ci accingiamo ad acquistare una barca da pesca, quasi istintivamente siamo spinti verso prodotti d’oltreoceano. Tuttavia, nella pur super-indottrinata produzione americana di fisherman, vi sono esempi che estremizzano il concetto di “specializzazione” e di “ben fatto”. Vi sono casi in cui persino le viti sono allineate sullo stesso asse in un ordine per certi versi inquietante. Sto parlando di Cabo Yachts: un cantiere nato nelle aride vastità dell’entroterra californiano, diventata incubatrice (già, la produzione si è fermata, purtroppo, quattro anni fa) di creazioni che hanno pochi eguali nella produzione mondiale. Fisherman express e convertible di rara purezza estetica, di inarrivata cura nell’impiantistica e di robustezza monolitica. Dicevo del dettaglio in foto: le cerniere erano costruite in cantiere e non reperite, quindi, sul mercato adattandole successivamente al proprio stampo. Esse nascevano per essere incassate perfettamente a filo con il manufatto, imbullonate con bulloni a testa piatta, orientati esattamente sullo stesso asse. Il dettaglio estetico di sicuro impatto, diventato negli anni il biglietto da visita di Cabo per esaltare la qualità delle rifiniture delle sue barche, aveva però un fondamento tecnico: ogni bullone veniva avvitato esattamente alla stessa coppia di serraggio e, dunque, avendo identico passo del filetto, con lo stesso numero di giri in ogni foro. Il risultato era una uniforme tensione meccanica dei punti di serraggio e, dunque, la stessa identica tenuta alle vibrazioni. Sostanzialmente, la tuna door di un Cabo non si mollerà, né si scardinerà mai….


Pescare nel caos: inammissibile su un vero fisherman! Dove riporre cosa?

Compriamo compulsivamente artificiali, attrezzature, cassette porta-attrezzature, cassette porta-cassette.. ed alla fine, tra un sussulto e l’altro, ci ritroviamo spesso con qualche amo tra i piedi quando peschiamo con la nostra barca. Questo succede perché la barca è un mezzo dalla stabilità per lo più precaria ed a bordo, quindi, l’organizzazione è tutto ciò su cui possiamo contare per tutelare la nostra incolumità e quella dei nostri eventuali ospiti. + Oltretutto, nell’ordine è molto più facile trovare un coltello al volo che debba servire per salvarci da situazioni di pericolo (pensate a lenze o cime incastrate o aggrovigliate accidentalmente nelle eliche), + ma anche trovare il guadino od il raffio al volo per imbarcare la preda all’amo! Posto che un vero fisherman non dovrebbe aver bisogno di stravolgimenti a bordo poiché già auspicabilmente dotato di vani dedicati allo stivaggio dell’attrezzatura da pesca, resta pur vero che l’ordine richiede impegno anche quando la barca offre possibilità di organizzazione… Quando, invece, il progetto pecca di completezza da questo punto di vista, dovremo attivarci affinché la vita in barca non diventi un pericolo latente ogni qual volta il mare non sia piatto. Se in pozzetto, infatti, non troviamo vani all’uopo progettati, dovremo pensare di ricavare noi stessi delle cassettiere a murata, magari sotto le falchette, dove collocare rastrelliere per appendervi gli artificiali da utilizzare durante la battuta di pesca, dei portacoltelli e portapinze facilmente raggiungibili estendendo il braccio, e magari persino raddoppiati (sia in murata destra che su quella sinistra). Customizzazioni non troppo “pedestri” possono essere realizzate collocando spesse bande di neoprene ad alta densità nei punti strategici della barca, nelle quali “infilzare” gli ancorotti e gli ami che si intenderanno utilizzare durante la battuta di pesca, i quali, altrimenti, sarebbero destinati a vagare in balia del rollio, tra piedi e stinchi scoperti. Oppure, acquistare sui…


Scelta per voi dal 58° Salone Nautico di Genova: BOSTON WHALER 350 OUTRAGE

La solita qualità indiscussa di Boston Whaler: materiali di ottima fattura, spessori generosi, scricchiolii inesistenti, rivestimenti robusti, posizionamento ottimale degli accessori, con alcune innovazioni. In primis la side door: su barche dove l’intero specchio di poppa, o quasi, è ingombrato dalle calandre dei fuoribordo, la zona sgombra che risulta più logico utilizzare per l’imbarco e per il tag delle prede è il giardinetto. È qui che il cantiere ha posizionato un portello indicato, tra l’altro, anche per chi fa diving, dato che agevola non di poco l’issaggio delle bombole o di altra attrezzatura attraverso una soglia senza gradini, alta giusto un paio di palmi sopra la linea di galleggiamento. Altro dettaglio degno di nota è la quasi sconfinata vasca del vivo principale (sì, perché su questa barca ne abbiamo due), accorpata alla leaning post che precede immediatamente le sedute della zona guida: coperchio in policarbonato trasparente di spessore quasi imbarazzante (per quanto pesa), bordi armonizzati, ossigenatore ad alta capacità ed illuminazione diurna e notturna. Non si può davvero chiedere altro ad una vasca del vivo. Una seconda vasca è disposta all’angolo sinistro di poppa, posizione ideale per esche “imbrattanti” come i cefalopodi. Sebbene quest’ultima sia di supporto alla prima, è stata concepita con gli stessi crismi di fruibilità ed efficienza di ogni altro elemento a bordo di questa barca studiata nel minimo dettaglio. Per quanto concerne lo stivaggio del pescato, non si è fatta davvero economia nemmeno da questo punto di vista: il pagliolo del pozzetto fin quasi a mezza barca prevede vasche ad incasso coibentate e perfettamente gelcoattate per una pulizia immediata es una perfetta ermeticità rispetto a possibili insinuazioni di umidità nelle sezioni interne dello scafo che, ricordiamo, come da tradizione Boston Whaler, è interamente riempito di schiuma di poliuretano espanso a cellula chiusa, a garanzia di un…


Fisherman ed attrezzature a bordo: i gavoni e la loro (spesso errata) disposizione.

In questo articolo affronto brevemente la problematica dello stivaggio di attrezzature più o meno pesanti a bordo di una barca. Tale tematica, peraltro già affrontata nel mio libro Fisherman Americani , è particolarmente pertinente al mondo dei fisherman poiché, per via delle svariate tecniche di pesca che vorremo esser pronti a praticare in base alle condizioni marine contingenti, noi pescasportivi avremo perenne necessità di portarci al seguito una mole non indifferente di piombi, zaini, cassette, canne, mulinelli e chi più ne ha, più ne metta. Occorre specificare che, nello stivaggio a bordo, siamo sempre vincolati in quanto è la barca a decidere dove e quanto riporre in ciascun gavone. L’esperienza mi ha, tuttavia, insegnato che assai spesso in fase progettuale alcuni cantieri compiono svariati errori di valutazione dei carichi aggiuntivi, collocando gavoni da centinaia di litri di capacità dove meno sarebbe opportuno (leggasi aree dello scafo già ben gravate da peso di motori, serbatoi ed impianti). Viceversa, in zone dove si sente la mancanza di peso, si scopre che il costruttore vi abbia previsto un vano appena sufficiente ad accogliere una borsa da mare. Il problema di dislocazione e dimensionamento errati delle aree di stivaggio può esser dovuto a molteplici fattori: – vincoli costruttivi / strutturali (aree interne allo scafo schiumate per garantire l’inaffondabilità, strutture di rinforzo a griglia che limitano la capacità delle intercapedini libere, ecc..) – lacune progettuali rimediate all’ultimo momento (le dimenticanze in fase progettuale non sono affatto rare e, il più delle volte, in tali casi si studiano aperture dell’ultimo minuto per garantire un minimo di stivaggio in più) – eccessiva promiscuità del progetto (si pensi alle barche nate dapprima come natanti da diporto costiero o al day cruising, dal cui progetto nasce, successivamente, la versione orientata alla pesca sportiva) Sebbene la natura dei casi sopra illustrati sia diversa, il risultato…