Navigazione con mare cattivo: alcune considerazioni.

Ogni barca ha il suo modo di navigare in relazione alle linee d’acqua, al tipo di trasmissione, alla ripartizione dei pesi ma, soprattutto, alla sua “genetica progettuale”.

Se navigare fosse così semplice come percorrere un’autostrada in auto, avremmo vita facile.

In autostrada sappiamo che l’asfalto drenante, l’ampiezza delle corsie e le pendenze del manto stradale sono stati concepiti per consentire di viaggiare, in piena sicurezza, a velocità di codice.

Mantenere la velocità di semiplanata non è dote di qualsiasi barca. L’assetto potrebbe essere eccessivamente cabrato e potrebbe compromettere la visibilità dal ponte comandi.

In barca, invece:

  1. l’andatura non è quasi mai selezionabile a proprio piacimento e non esiste una velocità minima o massima consigliata se non da esperienza e buon senso.

          L’andatura di navigazione dipende dalle condizioni di mare in relazione alle geometrie dell’opera viva:
  • Una carena molto profonda da prua a poppa consentirà di gestire andature medie elevate sul mosso tagliando l’onda corta agevolmente.
  • Una carena molto profonda a prua con V variabile verso poppa agevolerà la portanza ad andature prossime alla velocità minima di planata, ma soffrirà se non coadiuvata da flaps e se i pesi non saranno ben distribuiti. In tal caso, infatti, una prua troppo alleggerita impedirà al tagliamare di fare il suo lavoro e la carena finirà per “lavorare” di pancia.
  • Con una carena poco profonda da prua a poppa, invece, non si potrà attenuare lo stress a bordo se non procedendo in dislocamento veloce.

    Vox populi narra che ogni mare vuole la sua carena. Senza esasperazioni concettuali ciò significa che un mare tendenzialmente “lungo” accoglie bene anche carene non estremamente affilate; viceversa, mari ad onda corta e ripida necessitano di essere tagliati con carene molto pronunciate e con deadrise di poppa importanti.

    Catamarani a parte… Queste carene consentono l’entrata in planata già a velocità molto basse, per cui il punto di efficienza per motori ed assetto è presto raggiunto anche in condizioni meteomarine critiche.

       2. La tenuta di mare è il risultato di diversi fattori non modificabili dallo skipper (a meno di modifiche spesso invasive)

           Per migliorare assetto e tenuta di strada di un’auto sarà il più delle volte sufficiente montare pneumatici di qualità. Nei casi più problematici un set di molle ed ammortizzatori più rigidi
faranno al caso, salvo casi di proverbiale instabilità sul bagnato come certe vecchie auto tedesche a trazione posteriore.
          –> Come già accennato al punto 1, la tenuta di mare è un “traguardo” che si raggiunge step-by-step, intervenendo sin dalle fasi progettuali della barca, finendo con l’allestimento di        
                 impianti ed accessori che raffinino l’assetto nelle varie condizioni di carico e di mare.

       3. Ogni trasmissione conferisce allo scafo una determinata predisposizione comportamentale con i vari tipi di moto ondoso.

A tal proposito occorre ricordare che:

  • eliche grandi agevolano la spinta e la trasmissione di coppia motrice (se il motore ne ha, ovviamente; in caso contrario trattasi solo di un errore di accoppiamento che creerà molti problemi di navigabilità);
  • un’elica posta in profondità è più difficile che “perda acqua” in presenza di onde ripide;
  • ci sono carene o loro appendici (leggi bracket, pinne stabilizzatrici, lifting strakes mal profilati, ecc..) che sporcano per loro difetto progettuale l’acqua convogliata sulle eliche.

    Grandi potenze, grande coppia, grandi eliche: il mix perfetto per affrontare ogni mare (se la carena è “grande” anch’essa) – in foto: Buddy Davis 48 Express.

Tornando al nodo trasmissioni, generalmente quelle più “superficiali” come i fuoribordo hanno più problemi con mari corti e cavi d’onda accentuati rispetto ad EFB ed EB. Per quanto XXXLLL… possa essere il gambo, infatti:

il fuoribordo è più efficiente nell’acqua “dura”:  quella cioè, compressa dai piani di carena e sparati verso le eliche.
Trattasi degli strati più superficiali dell’acqua lavorata dallo scafo durante il suo scorrimento sull’acqua e, per tale congenita ragione, il fuoribordo è dunque più esposto a perdite di acqua e cavitazioni non imputabili ad erronea installazione.

Ci sono, poi, carene che navigano più agevolmente oltre una certa velocità in presenza di mare avverso. Questo è possibile, ovviamente, se la barca è adeguatamente motorizzata e le strutture di scafo e coperta lo consentono.

Per esempio il Madeira II, il mio Topaz 32, ha una carena a V variabile dai 75° di deadrise a prua fino a 18° ad estrema poppa. Per esaltare le doti della ruota di prua particolarmente affilata è necessario viaggiare ad almeno 18-19 nodi con mare di prua, soglia oltre la quale si naviga su mari forza 3-4 come fossimo coltello caldo nel burro anche a 27 nodi. Al di sotto della velocità che ottimizza l’assetto, si deve intervenire con i flaps per non tenere il tagliamare fuori dall’acqua, pena lo spanciamento di cui sopra.

Naturalmente, se essa non fosse dotata della massima motorizzazione all’epoca ordinabile (2x450cv) ed avesse la motorizzazione di accesso (2x350cv) avrei molta più difficoltà nel conservare la planata ad andature basse. Per tale motivo in mare la potenza non è mai troppa!

Prima di acquistare una barca è bene testarla nelle più svariate condizioni di mare. Successivamente è opportuno imparare a conoscerla gradualmente senza azzardare uscite in mare aperto appena portata all’ormeggio.

Se desideri confrontarti con me su una barca che ha attratto la tua attenzione scrivimi compilando il
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Vi auguro buona lettura e Buon Mare!

Dr. Benedetto Rutigliano
Autore di Fisherman Americani
Autore di “Le 11 buone ragioni per NON comprare una barca (ed una per farlo)”
Autore di “La Barca da Pesca Perfetta- Guida sintetica” eBook
Scrittore per la rivista Pesca in Mare