Piccoli motori = piccoli consumi? In mare, NO!
Dopo aver analizzato brevemente: 1. L’altezza e la forma del pozzetto; 2. La caliciatura dei masconi, 3. La vasca del vivo; oggi affrontiamo il nodo MOTORIZZAZIONE La questione della propulsione è oggetto di diatribe concettuali tra i diportisti e di più o meno fondati timori commerciali tra i costruttori. Generalmente l’idea di grandi potenze, soprattutto se abbinate alla progettazione di scafi di dimensioni compatte, crea nei cantieri una certa ritrosia per il dubbio di allontanare la parte di diportisti che vedono, nell’abbondanza di cavalleria, una minaccia per il proprio portafoglio in termini di consumi. Tuttavia il fisherman ha necessità di un equipaggiamento differente rispetto alla barca da diporto ricreativo, infatti sarà più soggetta a sovraccarichi di attrezzature a bordo e, per di più, sovente presenta geometrie di carena molto esigenti dal punto di vista della forza propulsiva. Spesso mi capita di vedere carene con ottime caratteristiche di tenuta di mare e di penetrazione nell’onda, offerte però con motorizzazioni di base ridicole, che servono esclusivamente ad invogliare all’ acquisto il diportista timoroso degli alti costi di esercizio, il quale, una volta varata la barca, si renderà conto che i consumi che confidava essere contenuti non lo sono affatto, anzi, lo sarebbero stati se avesse optato per una motorizzazione più generosa. La sottomotorizzazione, nel panorama nautico soprattutto europeo, è un male subdolo e dilagante. Non è una questione di sfoggiare una sfilza di motoroni a poppa, o di poter fare sci nautico… ma di SICUREZZA IN MARE! Uno dei corollari della nautica americana specializzata in fisherman recita che: “Una barca bimotore è adeguatamente motorizzata se, a pieno carico, è in grado di raggiungere la planata e di MANTENERLA con l’ausilio di un solo motore”. Ovviamente tale concetto è orientato a barche di una certa stazza, sulle quali la potenza può far la differenza…